Octavio
Paz |
L’ultimo dei moderni, il primo au-delà |
In questo
senso i lettori di Paz sono pochi e lontanamente misurabili in confronto ai
lettori di Liala, Kafka, Grisham, Stephen King, Calvino, Sciascia e tanti
altri. Un elemento importante per spiegare ciò può essere ritrovato nel fatto
che si tratta di un autore straniero, per di più presentato come poeta, veste
nella quale si è affermato solo nel secondo dopoguerra, quando i vari -ismi avevano
prodotto tantissimo. Il fatto fondamentale però risiede nei motivi della
lettura: Octavio Paz non stupisce, non intrattiene, non emoziona.
Eppure, quando ancora la Giuria di Stoccolma non era preda del virus
ideologico, gli fu assegnato il Premio Nobel per la Letteratura con questa
motivazione: “per una scrittura appassionata, dai larghi orizzonti,
caratterizzata da intelligenza sensuale e da integrità umanistica”. Era il
1990, non un’epoca lontana, ma l’anno di gestazione di ciò che viviamo oggi.
Come poeta
non è particolarmente originale e come saggista non corrisponde ai canoni
ufficiali del saggio, introducendo molti aspetti che non fanno pensare al
saggio, come la biografia, la cronaca, la poesia stessa, per cui i suoi saggi
non possono neppure rientrare nella corrente euristica. Per giunta è troppo
messicano e questo è visto come un limite, anche da coloro che parlano di
“diversità” e di “inclusione”: un recente articolo su Il Foglio, a cui va il
merito comunque di aver parlato dello scrittore nel silenzio generale, si interviene
più sulla politica che sulla letteratura.
Sono un
convinto sostenitore di un approccio euristico alla conoscenza seppur
attraverso l’orientamento del pensiero e della scienza complessi. Mi sono
avvicinato alla letteratura per motivi professionali e ho studiato le opere
soprattutto nella prospettiva di chiarire il senso della vita, non
dell’esistenza umana in generale, ma della mia vita. Non vi vedevo alcuna
contraddizione: le mie lezioni si sono sempre basate su studi consolidati, cosa
che ritengo fondamentale nell’approccio di qualsiasi argomento, ma invece di
rimanere su quegli studi ho sempre introdotto un dubbio e inserito in quei
lavori un corpo, estraneo ma di prossimità, in modo da vedere la natura dei
nuovi germogli. E’ così che sono arrivato a Octavio Paz. Non starò qui a
ricostruire gli eventi, molto specifici a cui ho accennato in uno dei miei
primi libri: il caffè a Vera Cruz dal tintinnio di cucchiai, l’adiacente
libreria, con un tavolo apparecchiato coi libri di Paz, il Messico e le sue
radici, le sue poesie. Tre anni dopo, il Premio Nobel e l’impulso ad un
approfondimento. Letture e traduzioni di testi di cui non c’era traccia nelle
librerie italiane e comprati nei miei viaggi in Spagna. Altri cinque anni e
l’affettuosa lettera dello scrittore commosso per la mia recensione al suo
ultimo libro Vislumbres de la India.
Ecco qui
dunque il risultato di una riflessione non superficiale, ma certamente audace.
Lo spazio
dedicato a Paz si rende necessario per la tesi che sostengo e non riguarda né
la grandezza del poeta né la profondità del saggista né un affetto particolare.
Lo studio di Paz mi ha portato a comprendere che il suo lavoro rappresenta il
ponte tra un’epoca, quella della poesia moderna iniziata con Baudelaire, e la
nuova epoca che fa fatica a venir fuori. Come spiegherò meglio nell’ultimo
capitolo dobbiamo a Montale e a Paz la percezione (e l’acquisizione) della fine
di quell’epoca: Montale, una delle massime espressioni di quell’epoca e Paz, il
poeta che ha portato quelle radici un po' oltre.
L’avventura
letteraria dello scrittore messicano si muove timidamente e si mescola a un
impegno culturale che lo avvicinerà ai poeti maggiormente influenti in quel
periodo e non solo spagnoli: conobbe personalmente Alberti, Neruda, Vallejo e
Breton, sebbene fosse di una generazione più giovane. I poeti più importanti
degli anni ’30 del 1900 avevano quasi tutti fatto una scelta di campo,
ideologica, quella del comunismo, e anche Paz si sentì in dovere di sostenere i
Repubblicani durante la guerra di Spagna, ma fu tra i primi a condannare la
repressione che la componente stalinista operava dentro il Fronte Repubblicano.
Egli fu tra i primi intellettuali a condannare anche i crimini sovietici già
nel 1951 in grande anticipo rispetto agli altri, una parte lo fece solo dopo la
condanna da parte di Kruscev e l’invasione dell’Ungheria nel 1956, mentre altri
aspetteranno ancora dei decenni.
Già questo
mostra un percorso che sarà molto diverso da altri scrittori, perché le sue
radici, nonostante la vicinanza della famiglia a Zapata leader della
Rivoluzione messicana, lo portarono ad approfondire i temi dell’individuo e
della parola, tanto che persino Alberti pur criticandolo per l’assenza di
tematiche sociali (che a quei tempi voleva dire socialiste) ne apprezzò l’esigenza
di rivoluzionare il linguaggio.
Individuo-persona
e parola saranno la costante della ricerca di Paz e lo porteranno a risultati
importanti perché non transitori.
La sua poesia
non è particolarmente innovativa, sebbene densa e capace di svelamento e
costruzione, con evidenti influenze del surrealismo: spesso Paz altera la
collocazione delle parole e dei versi nella pagina e talvolta introduce dei
segni o dei disegni. Questo è particolarmente visibile nelle raccolte “Salamandra”
(1958-1961), “Hacia el comienzo” (1964-1968), “Blanco” (1966)
scritto in tre colonne e che permette differenti letture.
In tutte le
sue raccolte poetiche, dalle prime che risalgono al 1935 fino alle ultime del
1988, Paz scava dentro se stesso cercando una connessione con il mondo,
ripercorrendo a modo suo quello che è il cammino disegnato dalla grande poesia
moderna che lo ha preceduto: dalla terra al cielo, dalle radici ai rami al
sole, dal colle e dalla siepe all’orizzonte e all’infinito. Fin da subito
comprende che questo processo è possibile solo attraverso la parola e, se le
suggestioni del surrealismo rischiano di trasformare la ricerca della parola in
qualcosa di tecnico, egli riesce sempre ad andare oltre: “Con chiara grafia
il poeta scrive / le sue oscure verità / Le sue parole / non sono un monumento
pubblico / né la Guida al giusto cammino / Sono nate dal silenzio / si aprono
su steli di silenzio / in silenzio le contempliamo” (Luìs Cernuda in
Giorni feriali, 1958-1961: Mondadori, 1984).
Fin da subito
Paz capisce che la ricerca della parola non può più avvenire solo mediante il
verso: lo esplora, lo rinnova, ne individua le radici, le accoglie dentro di
sé, ma si rende conto che la parola della poesia da sola è inadeguata a svelare
e costruire in un contesto che è irrimediabilmente cambiato. Il cambiamento è la
società di massa, come l’aveva descritta Ortega y Gasset in La ribellione
delle masse del 1930 e come l’aveva maturata Elias Canetti con Massa e
potere, opera pubblicata nel 1960 ma che aveva avuto bisogno di una
gestazione trentennale.
(Apro una parentesi sul ritardo della cultura italiana: la
prima fu edita nel 1962 e la seconda dodici anni dopo la prima pubblicazione e
non sono gli unici titoli che il pubblico italiano potrà leggere in ritardo).
Sintetizzo
qui il percorso seguito da Paz che lo rende il ponte tra la poesia moderna e
ciò che ci aspetta:
1) le poesie
dagli anni Trenta ai Sessanta che rappresentano la naturale creazione di realtà
attraverso lo svelamento, così come lo abbiamo conosciuto da Baudelaire in poi;
2) i saggi
sulle proprie radici messicane che lo portano a indagare in modo più ampio la
condizione umana e il ruolo della poesia;
3) le due
opere, che tutti scambiano per saggi, ma che in realtà sono la prospettiva
verso la quale occorre che la letteratura proceda: La llama doble del
1993 e Vislumbres de la India del 1995.
1)Libertad
bajo palabra (Ed. Catedra 1988) riunisce le poesie composte tra il 1935 e
il 1957. Esse esprimono un forte e incisivo senso del poeta moderno che segue
le strade inaugurate dai simbolisti francesi e che hanno avuto in tutto il
mondo un ruolo decisivo. I temi sono quelli che caratterizzano la poesia
moderna e hanno a che fare con la presenza nel mondo, indagando a partire da sé
la condizione esistenziale. Nei capitoli precedenti abbiamo visto diversi
percorsi perché il poeta moderno non lancia messaggi né deve convincere un
pubblico e tanto meno il popolo. Su questo Paz è chiarissimo e riassumerà ciò
in La otra voz (capitolo Balance y pronòstico, Ed. Seix Barral
1990) dove mostra come la Storia abbia divorato sia “il realismo socialista”
sia “i poeti impegnati”.
Nella
raccolta molti i versi che meritano un’attenzione particolare, una lettura
dell’anima nell’anima, versi che, al pari di quelli di tutti i grandi poeti,
scavano un piccolo tunnel e costruiscono piccole stazioni di posta: l’uomo che
si coglie nella sua complessità e, stretto tra i vincoli della Storia, riesce a
individuare possibilità, seppur piccole. Non nega la Storia, non nega la
Tecnica, non nega la Società, nega solo ciò che blocca l’uomo e per questo si
apre in tutte le direzioni che la vita gli ha offerto: non ha vissuto la guerra
come Ungaretti o Pound, non si è lasciato andare alla deriva dei poeti
maledetti, ha perso il padre ma in maniera diversa da Pascoli, non ha fatto
l’impiegato come Svevo e così via. “L’esperienza del poeta deve essere
diretta, vasta e varia: Eliot non fu danneggiato dal lavorare in banca né
Neruda dall’essere Console a Rangoon” (La otra voz. Poesìa y fin de
siglo, Ed. Seix Barral 1990, pag. 116; trad. mia) Egli ha mostrato cosa sia
la montaliana “divina indifferenza”, non inettitudine ma andare oltre
ciò che si presenta come materiale e mostrare che l’anima non è dominio
cristiano come la spiritualità non appartiene solo all’Oriente. Ho cercato
nelle poesie della raccolta qualche verso che si distinguesse dagli altri e ho
scoperto che tutti sono importanti, per cui non ne cito nessuno: chi ha
com-preso cosa sia la poesia moderna non ha bisogno di leggere tutti i versi di
tutti coloro che hanno dato la loro speranza, e non parlo solo dei grandissimi
presenti in tutte le antologie e in tutti i testi di critica. Sbarbaro, Pessoa,
Kavafis, Benn, Luzi e tanti altri che non compaiono nei libri di testo e
neppure nei giochi televisivi: Paz è tra questi, ma è anche oltre.
Qui comunque
una poesia per avere un’idea.
EL SEDIENTO Por
buscarme, poesìa, en ti me
busqué: deshecha
estrella de agua se anegò mi
ser. Por
buscarte, poesìa, en mi
naufragué. Despuès sòlo
te buscaba Por huir de
mì. ¡ espesura de reflejos En que me
perdì ! Mas luego
de tanta vuelta Otra vez me
vi: el mismo
rostro anegado en la misma
desnudez; las mismas aguas de espejo en las que no he de beber; y en el
borde de esas aguas el mismo
muerto de sed. Condiciòn
de nube, 1944 |
L’ASSETAT0 Per
cercarmi, poesia, in te mi cercai: di acqua
disfatta stella si annegò
nel mio essere. Per
cercarti, poesia, in me
naufragai. Poi solo te
cercavo Per fuggire
da me. Spessore di
riflessi In cui mi
persi! Ben oltre
di tanto girar Altra volta
mi vidi: lo stesso
volto annegato nella
stessa nudità; le stesse
acque di specchio dove non
trovai da bere; e al bordo
di codeste acque lo stesso
morto di sete. |
2) Il primo
saggio importante risale al 1949 ed è Il labirinto della solitudine. Qui
è evidente come Paz faccia i conti con le sue radici, rimanendo ancora come
persona al di fuori. Il Messico è visto nelle sue dinamiche storiche in cui il
Mito ha sempre esercitato un ruolo, come si è visto nei movimenti popolari e in
particolare nella Rivoluzione Zapatista di inizio ‘900. I diversi capitoli
entrano dentro diverse forme della storia messicana e non tralasciano il peso
che la religione cristiana vi ebbe, soffermandosi, come farà anche in seguito,
su figure importanti ma considerate dai più marginali come Sor Juana Inès de la
Cruz. La riflessione di Paz nasce dal Messico ma si allarga sempre di più in un
percorso a spirale che lo porta a non dimenticare mai quanto analizzato in
precedenza: continuità e rottura sono sempre presenti. Paz ricostruisce la storia
messicana intrecciandola con i miti del paese, mostrando le differenze con gli
Stati Uniti e l’Europa, che conosceva bene; arrivando fino alla patria del
comunismo, alla quale si era avvicinato seppur brevemente. E’ qui che Paz pone
le basi della sua critica al concetto di Rivoluzione per il quale farà proprio
quanto espresso da Ortega y Gasset: “Il rivoluzionario è sempre radicale,
cioè non aspira a correggere gli abusi, ma gli stessi usi” (Il labirinto
della solitudine, pag. 37, Ed. Il Saggiatore, 1982) e per quanto riguarda
l’ideologia comunista si chiede “E’ razionale l’uso della dialettica da
parte dei comunisti, o non si tratta semplicemente di una razionalizzazione di
certe ossessioni, come avviene con altri tipi di nevrosi?” (idem, pag. 233).
La Storia, il
Mito, la Modernità, la Ragione vengono interrogati a partire dalla condizione
umana, senza filtri teorici o filosofici, né politici né antropologici, ma
cercando di allargare sempre di più la propria riflessione a partire dalla sua
esperienza di scrittore, di studente in Messico ma anche negli Stati Uniti (a
Los Angeles e a Berkeley), di lettore attento e dai vasti orizzonti (spaziali e
temporali) e persino di diplomatico (fu in Francia dal 1945 al 1951). Non si
specializzò in qualche ramo accademico e mostrò già allora il suo interesse per
l’uomo senza mai dimenticare il contesto in cui la persona si trovava ad
operare.
Oltre
quell’opera la riflessione di Paz sul mondo che lo circonda e di cui si sente protagonista
è instancabile e senza pause; da quelle radici egli parte per dar vita a rami
sempre più consistenti e variegati. Non è tanto la letteratura l’oggetto della
sua indagine che si muove a 360°, ma lentamente comincia a soffermarsi di più
sul ruolo della poesia che gli permetterà, come vedremo, di fare un salto di
qualità nel senso (significato e direzione) da attribuirle.
Il primo
passo è stato quello di recuperare la tradizione letteraria, valorizzando anche
il ruolo del Cristianesimo nel recupero delle origini indigene e grazie a una
visione mai limitata all’Occidente, viste le sue esperienze diplomatiche per
ora brevi (1952-1953) in India e Giappone: naturalmente la maggiore attenzione
è rivolta alla letteratura in lingua spagnola. Sarà però nel lungo periodo in
cui fu Ambasciatore del Messico in India (1962-1968) che matureranno e
prenderanno forma le più significative riflessioni sul ruolo della poesia.
Lo snodo è
rappresentato dal testo Corriente alterna del 1967 in cui si pongono le
basi della svolta di cui vedremo i risultati negli anni ’90 e di cui parlerò
nel passaggio da questo al prossimo punto.
La poesia ha
a che fare con il linguaggio e comporta una riflessione su questo aspetto che
porterà Paz vicino a Lévi Strauss per poi andare oltre. Nonostante alcuni passi
di Corriente alterna, in questa fase il poeta messicano indaga la poesia
per come si è manifestata e per questo cerca di comprendere la relazione che
esiste tra la poesia, il mito, la prosa, il poema epico, la danza, la pittura,
la musica. E’ per questo motivo che sottolinea l’importanza del suono, del
ritmo e del significato. Già però si interroga sul carattere specifico della
letteratura e comincia a concepire ogni fenomeno o insieme di fenomeni, come la
letteratura, “non una successione di nomi, opere e tendenze…ma un sistema di
relazioni…le relazioni dei testi tra di loro e del movimento stesso del sistema”
(Lévi Strauss o el nuevo festìn de Esopo, Seix Barral, 1967). Come
vedremo l’entrata in scena nella visione di Paz del concetto di “relazione” diventa
centrale per gli sviluppi della sua riflessione, in modo particolare relativamente
alla poesia.
2bis)Oltre la
crisi della letteratura e dell’arte.
“Per la
prima volta, dall’epoca romantica, non è comparso negli ultimi trenta anni
nessun movimento poetico di rilievo. E lo stesso avviene nelle altre arti”.
(La otra voz. Poesìa y fin de siglo, Ed. Seix Barral 1990, pag. 105;
trad. mia). Molti sono gli elementi all’origine di questa situazione e di fatto
riguardano i caratteri di una società di massa, dove lettori e scrittori sono
cresciuti in modo esponenziale: da un’inchiesta del 1988 emerge che 97 milioni
di Nordamericani visitano musei di arte almeno una volta l’anno e 90 milioni
sono i fotografi e 40 milioni coloro che studiano e praticano danza classica e moderna:
e dunque non deve apparire incredibile il fatto che siano 42 milioni coloro che
scrivono poesie e racconti (idem, pag.107).
La
trasformazione della società ha portato un numero sempre maggiore di persone a vivere,
“consumare”, più cose e in numero maggiore, e questo vale anche per i prodotti
culturali. “Nel 1950...la pubblicazione del libro di un poeta già conosciuto…era
di un migliaio di esemplari, oggi (1990) di quattro-cinquemila…Il poeta
Ferlinghetti vendette un milione di copie di A Coney Island of the Mind
e per allora Howl di Ginsberg aveva superato di gran lunga il milione…Il
numero di lettori di poesia, negli ultimi 30 anni, è aumentato di dieci volte.
Questo vuol dire che oggi si legge dieci volte di più che durante il periodo della
preminenza di grandi poeti come Eliot, Pound, Williams e Stevens, (periodo) che
fu un monumento di splendore nella storia della poesia del secolo XX.” (idem, pag. 77-78, trad. mia).
Naturalmente
Paz non si limita a queste affermazioni e il suo discorso si allarga a molti momenti
della vita sociale contemporanea che qui non intendo riprendere perché
individuo nello sviluppo del suo discorso un filo conduttore che ci porta oltre
la modernità.
Altri due
aspetti credo però vadano messi in evidenza:
a) la critica
al fatto che le poesie sono sempre più state lette come documenti sociali e
psicoanalitici;
b) “Dunque,
sebbene legata a una terra e a una storia (la poesia) si è sempre aperta in
ognuna delle sue manifestazioni, a un al di là che va oltre la storia. Non
alludo a un al di là religioso: parlo della percezione dell’altro lato della
realtà” (idem, pag. 133)… Come otra
voz, altra voce la poesia deve “suggerire, ispirare, insinuare.
Non dimostrare, ma mostrare” (idem, pag. 137).
2 ter) Corriente
alterna è un saggio del 1967 e contiene molte riflessioni, spesso brevi,
che riprendono spunti già esposti in precedenza e altri che verranno sviluppati
successivamente. Nella mia ricerca, ormai trentennale, di scoprire quel filo conduttore
che mi ha portato a individuare in Octavio Paz il poeta che più di tutti ha
saputo scorgere (vislumbrar) un orizzonte di luce alla crisi della
poesia, da tutti riconosciuta, credo si debba partire da Corriente alterna.
Qui c’è una
frase che ritengo il punto di partenza. Essa dice: “Aperto o chiuso, ogni
testo poetico esige l’abolizione del poeta che lo scrive e la nascita del poeta
che lo legge”.
Normalmente il
rapporto poeta-lettore è presentato come un rapporto tra produttore e consumatore.
Si presuppone che il poeta-produttore sia anche lettore-consumatore, ma in
genere non si considera valido il contrario cioè che il lettore-consumatore
possa essere anche poeta-produttore.
Baudelaire ha
scritto una celebre e importante poesia rivolta al lettore che chiama “ipocrita,
mio simile, mio fratello”, ma è evidente che sia fratello per la base non
per l’altezza, tanto che poi scriverà una ancor più celebre poesia, L’albatro,
dove considera il poeta come un albatro deriso in terra, quando è come gli
altri, ma gigante nei cieli. La distanza tra poeta e lettore viene di volta in
volta confermata da tutti. Montale puntualizzerà i compiti del lettore in una
intervista del 1972 a Radio Svizzera Italiana, mentre Pascoli nel suo Manifesto
Il fanciullino parlerà del lettore come del destinatario usuale, anche
se in una nota osserverà “Il lettore ha
già veduto da sé, né tuttavia è inutile che glielo faccia meglio notare io, che
questi pensieri sulla poesia, più che una confessione, che a volte sarebbe
orgogliosa e vanitosa, sono veri e propri moniti a me stesso, che sono ben
lontano dal fare ciò che pur credo sia da fare!”
La distanza,
o realmente la separazione, rimane.
Octavio Paz
introduce una prospettiva completamente diversa e non lo fa per vago senso
sociale o pseudodemocratico, ma perché in questo modo si scopre una
caratteristica completamente nuova e più aderente alla realtà sociale
contemporanea.
Di fronte a
più di un secolo dominato dalla dialettica la scoperta della relazione
avvicina Paz a Bateson, alla moderna epistemologia e alla scienza attuale.
Dietro quella
frase e le conseguenti riflessioni, nello stesso libro come nei successivi, c’è
la presa di coscienza che la letteratura (e l’arte in generale) si trova in una
fase nuova: l’arte non è morta, ma la nascita della società di massa ha fatto
sì che la letteratura, e soprattutto la poesia, non siano più cibo per nobili e
neanche per borghesi (il “popolo” del Romanticismo), tanto meno per i
professionisti (autori o critici). La riflessione e il dibattito sul
decadentismo o sull’ermetismo riguardavano non solo un numero ristretto di
persone, ma soprattutto persone che appartenevano alla categoria dell’arte:
tutto si è massificato, non tanto nel senso dell’uniformità, quanto nel fatto
che ogni aspetto della vita sociale (dal diritto alla medicina all’arte) è
patrimonio di tutti i componenti di una data società. Paz non è un idealista né
un utopista, non sogna la società perfetta, in cui tutti fanno tutto e non ha
bisogno di sollecitare gli individui a diventare poeti, perché essi già lo
sono, tenuto conto delle cifre sopra riportate. Ai numeri citati, non diversi
anche in Italia, vanno aggiunti tutti quelli che, di quando in quando, scrivono
qualche rima, scherzosa o meno, oppure qualche racconto: va di moda parlare
della propria vita e ciò viene fatto anche da persone molto sprovviste
culturalmente.
“In questo
caso (la comprensione di un testo, ndr) tempo vuol dire cultura, nel senso
originario del termine: il lettore deve coltivarsi. Questa coltivazione, come
tutte, è produttiva: implica cambi e trasformazioni. Ogni nuova opera poetica
sfida la comprensione e il gusto del pubblico; per goderne il lettore deve
imparare il suo vocabolario e la sua sintassi. L’operazione consiste in un
disimparare di ciò che si conosce e un apprendere ciò che è nuovo; il
disimparare-apprendere implica un rinnovamento intimo, un cambio di sensibilità
e di visione”. (La otra voz. Poesìa y fin de siglo: Ed. Seix Barral
1990, pag. 86; trad. mia).
Ed ecco come
questo coltivarsi diventa con chiarezza la morte del poeta che scrive e la
nascita del lettore come poeta che legge. Ciò non vuol dire che tutti meritano
di essere pubblicati e letti nelle scuole e nelle Università, ma che il lettore
per approfittare di ciò che legge deve procedere a “un cambio di sensibilità
e di visione”. Egli deve trasformarsi, partendo dalle singole parole, dalla
loro relazione e connessione, perché quelle parole che hanno trasformato il
poeta trasformino anche il lettore. Non è un progetto di rigenerazione sociale,
di creazione dell’uomo nuovo (comunista o super ariano), ma la condizione della
poesia nella società di massa.
Se io leggo
nei giornali o ascolto alla radio o in TV la parola “illusione” credo di sapere
a cosa essa si riferisca: qualcosa che mi fa credere che un’idea o un progetto
non si realizzeranno mai. Se io leggo la stessa parola in un testo poetico
forse vuol dire altro, forse l’etimologia (in-ludum, dentro il gioco) può
aiutarmi, per questo devo disimparare il consueto significato e costruire
qualcosa che è diverso: ciò è la nascita del poeta che ha letto e, se al
termine della sua esistenza avrà coltivato solo quella parola, ebbene, non sarà
poca cosa.
Il
coinvolgimento del lettore nella produzione poetica comporta un cambiamento di
sensibilità e di visione e dunque un modo nuovo di scrivere. Certo la crescita
della società di massa fa sì che anche nel settore artistico il consumo di
libri si sia allargato e con esso la produzione di libri; dunque le relazioni
sono profondamente mutate uscendo dalla specificità dell’area: da autore ad
autore, da autore a critico ad autore, da autore a borghesia a autore a
borghesia a critico. E così torniamo al punto di partenza: “Per la prima
volta, dall’epoca romantica, non è comparso negli ultimi trenta anni nessun
movimento poetico di rilievo. E lo stesso avviene nelle altre arti”. (La
otra voz. Poesìa y fin de siglo, Ed. Seix Barral 1990, pag. 105; trad.
mia). Allo stesso tempo The joy of sex di A. Comfort ha venduto più di
otto milioni di copie, Il codice Da Vinci 80 milioni, Il mondo di
Sofia 40 milioni, e così tanti altri romanzi, il cui successo si è legato
anche alla riproduzione cinematografica.
Non è né un
male né un bene, ma il frutto della cultura nella società di massa. Continuare
a imitare i grandi dell’epoca precedente rende la situazione ancora più
stagnante e impedisce quel rinnovamento di cui la poesia ha bisogno: la poesia,
perché la narrativa e la saggistica continuano con grande successo nelle forme
a cui siamo abituati.
Vediamo nel
prossimo paragrafo quale sia stato il contributo di Octavio Paz in questa
esigenza di cambiamento.
3) Quel
contributo avviene con due opere che tutti scambiano per saggi, ma che in
realtà sono la prospettiva verso la quale occorre che la letteratura proceda: La
llama doble del 1993 e Vislumbres de la India del 1995. Sono anche
le due ultime opere del poeta messicano.
La llama doble. Amor y erotismo si presenta come un saggio sull’amore e rimane la
riflessione più interessante e utile sul tema, una volta compreso che anche
l’amore (come la scienza, l’economia e tutti gli aspetti della società) si
caratterizza per una dimensione evolutiva. Nell’introduzione (Liminar)
Paz ci fornisce il senso di questo libro e ci fa capire quale deve essere il
nuovo orizzonte verso il quale guardare e muovere i passi della nostra
scrittura:
“Per me la
poesia e il pensiero sono un sistema di vasi comunicanti. La fonte di entrambi
é la mia vita: scrivo su ciò che ho vissuto e vivo. Vivere é anche pensare e
talvolta attraversare quel confine in cui sentire e pensare si fondono: la
poesia” (La llama doble, Ed. Seix Barral 1993, pag.6, trad. mia).
Se usiamo questa
chiave di lettura il libro ci apre nuovi mondi e svela, come La Divina
Commedia, qualcosa che va al di là della percezione superficiale del testo.
Chi cerca un manuale di istruzioni sul tema si rivolga alle pagine dedicate
delle riviste alla moda, popolari e non, o alla saggezza dei numerosi psicologi
e sociologi che riempiono la rete e le librerie di riflessioni che nulla
aggiungono al già noto.
Qui è la
poesia ad operare e, come sempre la poesia ha fatto, si pongono le basi perché possa
nascere il poeta che legge, diventando artefice e creatore (felicità-libertà-responsabilità)
della propria esistenza, dove l’amore svolge un ruolo senz’altro fondamentale.
Già la
distinzione tra sessualità, erotismo e amore è un’acquisizione decisiva e che
giustifica il titolo dell’opera, La
fiamma doppia:
“Secondo il Diccionario de Autoridades la
fiamma é "la parte più sottile del fuoco, che si eleva e si innalza in
forma piramidale". Il fuoco originale e primordiale, la sessualità,
innalza la fiamma rossa dell'erotismo e questa, a sua volta, sostiene e innalza
un'altra fiamma, azzurra e tremula: quella dell'amore. Erotismo e amore: la
fiamma doppia della vita” (idem, pag. 7).
Un altro elemento importante che ci viene sottoposto riguarda il
rapporto tra erotismo e cultura: “Nel seno della natura l'uomo si é creato
un mondo a parte, composto di quell'insieme di pratiche, istituti, riti, idee e
cose che chiamiamo cultura. Alla sua radice, l'erotismo é sesso, natura; per
essere una creazione e per le sue funzioni nella società, é cultura” (idem, pag. 16).
Proseguendo sia
in termini storici sia in termini concettuali ecco che spunta l’amore: “L'amore
è un'attrazione verso una persona unica: verso un corpo e un'anima. L'amore é
scelta; l'erotismo, accettazione. Senza erotismo -senza forma visibile che
entra attraverso i sensi- non c'é amore ma l'amore oltrepassa il corpo
desiderato e cerca l'anima nel corpo e, nell'anima, il corpo. La persona intera”
(idem, pag.33).
Capire poi
come l’amore non sia né un valore né un concetto assoluto risulta decisivo se
vogliamo fare i conti con quella realtà cui diamo quel nome, una realtà che si
è solidificata a partire dal Medioevo, amor cortese, Dolce Stilnovo, Petrarca e
la poesia occidentale. Non esiste una Scienza con la Esse maiuscola, perché la
scienza ha avuto prima del 1600 luoghi, tempi e significati diversi e la Scienza
contemporanea si muove molto diversamente. Allo stesso modo l’Amore nel mondo
classico aveva una connotazione più erotica ed esiste anche una differenza concettuale
tra Oriente e Occidente: “In Oriente l’amore fu pensato all'interno di una
tradizione religiosa; non si trattò di un pensiero autonomo ma di una
derivazione da questa o quella dottrina. Invece, in Occidente, fin dal
principio, la filosofia dell'amore fu concepita e pensata fuori dalla religione
ufficiale e, talvolta, contro di lei” (idem, pag. 37). Oggi, dopo un
migliaio di anni in cui l’idea occidentale dell’amore si è diffusa su scala
planetaria, essa soffre, mostrandosi inadeguata alle vistose trasformazioni in
cui ci troviamo coinvolti e che non riguardano solo l’aspetto tecnico.
Rimangono
aspetti fondamentali da cui occorre ripartire, oltre quelli fin qui
evidenziati, in particolare il concetto di persona che ne è l’elemento
costitutivo e la parola, cioè la poesia, perché “Il linguaggio della
poesia é il linguaggio di tutti i giorni e, allo stesso tempo, quel linguaggio
dice cose diverse da quelle che tutti diciamo” (idem, pag.12).
Il libro è un
intreccio continuo di relazioni che lasciano socchiuse tutte le porte che apre,
in un movimento a spirale che coinvolge tutti gli aspetti della vita umana, da
quelli più evidenti della quotidianità a quelli che rimangono sottesi seppur importanti
e decisivi, le concezioni scientifiche e culturali, le abitudini, le tradizioni
e tutto ciò che abbiamo ereditato dal passato.
Amore e poesia
vanno di pari passo perché entrambi hanno la stessa funzione.
“L’amore
non vince la morte: è una scommessa contro il tempo e i suoi accadimenti.
Attraverso l’amore scorgiamo, in questa vita, l’altra vita. Non la vita eterna…ma
la pura vivacità. L’amore non è l’eternità…Il tempo dell’amore non è né garnde
né piccolo: è la percezione istantanea di tutti i tempi in uno solo, di tutte
le vite in un istante” (idem, pag. 220)
El amor como
otra vida. La poesía como otra voz.
L’amore come l’altra
vita. La poesia come l’altra voce.
La doppia
fiamma è il primo passo verso un nuovo tipo di
letteratura a cui Paz contribuisce con l’opera pubblicata due anni dopo, Vislumbres
de la India; questa ultima opera di Octavio Paz evoca nel titolo la
presenza dell'India, ma la magia è tutta dello scrittore messicano.
Il libro si
presenta come un saggio ed è invece poesia, sembra parlare del paese asiatico e
invece parla dell'Occidente, riporta episodi autobiografici e sentiamo che è a
noi, ad ogni singolo lettore, che essi fanno riferimento. Specchio magico, ma
razionale; caleidoscopio di immagini, sentimenti, intuizioni, tenuti insieme da
una rara capacità logica e riflessiva. Come tutti i libri suoi, d'altronde.
Almeno per chi ha saputo avvicinarsi col cuore aperto, la mente libera, la
curiosità vitale.
Strano
destino quello del poeta-scrittore Octavio Paz nel nostro paese. Nonostante
l'assegnazione del Premio Nobel, esso è stato poco tradotto dalle Case editrici
e nascosto dai Librai nei corridoi più bui e inaccessibili. Poco male. Come
scrive Tagore, il celebre poeta bengalese amato da Paz: "Sono le vie
più remote che portano più vicino a te stesso".
Nonostante
l'età (è nato nel 1914) la sua produzione degli anni ’90 del secolo scorso sembra
quasi intensificarsi e farsi più penetrante, alla maniera del poeta anche
quando scrive libri che tutti considerano saggi. Nell’arco di soli cinque anni
ha prodotto tre opere centrali per la cultura contemporanea: La otra voz,
sulla poesia; La doble llama, sull'amore; e questo Vislumbres de la
India.
Già il titolo
ci indica la strada percorsa: "Vislumbrar: spiare, seguire le tracce,
distinguere appena, intravedere. Vislumbres: indizi, realtà percepite tra la
luce e l'ombra. Tutto ciò può essere riassunto in una frase: questo
libro non è per gli specialisti; non è figlio del sapere ma dell'amore"
(Vislumbres de la India, Seix Barral, 1995, pg. 43, trad. mia).
Paz è stato
ambasciatore del Messico in India dal 1962 al 1968, dopo averci lavorato nei
primi anni cinquanta, e il libro è la sintesi di un incontro profondo tra un
occidentale e un mondo -una religione una filosofia un'arte una cucina- così
diverso e così lontano. Paz ci aiuta a capire e ad amare, al punto di sentirci
protagonisti del suo stesso viaggio: chi non è stato in India, chi non ne ha
subito il fascino, chi non ha scritto qualche frase con la quale ha cercato di
appropriarsi di quell'universo? Ma, attraverso la lettura di questo libro, ci
sentiamo più liberi e coscienti dentro quel viaggio che è la nostra vita, cioè
la vita di ognuno di noi.
Entriamo con
Paz dentro la storia millenaria dell'India e ci ritroviamo immersi nella storia
dell'Occidente; ne gustiamo la infinita saggezza filosofica e scopriamo le
facce di Platone ed Aristotele; percorriamo i sentieri noti e meno noti della
religione induista (e musulmana) e scopriamo i decisivi passaggi tra mondo
greco, cristianesimo e modernità. Sempre oltre i luoghi comuni, cercando di
sfidare le proprie intuizioni, con una partecipazione critica esemplare.
Ne risulta
un'opera utilissima, non solo a chi ha già prenotato il volo per Bombay, ma a
chi non ha cessato di interrogarsi. Paz non risolve le contraddizioni tra
Occidente e India, ma stabilisce un ponte, una congiunzione, oltre i facili
entusiasmi e le facili condanne, oltre le colpe e le assoluzioni, oltre peccati
e sensi di colpa. Senza rinunciare a se stesso e al suo essere parte della
cultura occidentale, che significa anche essere capaci di avere coscienza della
crisi in cui viviamo.
L'opera
rimanda inevitabilmente a La otra voz e al discorso tenuto in occasione
della consegna del Nobel (La busqueda del presente) in un vortice di
riflessioni, di immagini, di sensazioni che non può lasciarci indifferenti.
L'India come tutto e nulla, come fine e mezzo, come specchio. Di noi.
"Queste
pagine iniziarono con un tentativo di rispondere alle domande che l'India mi
aveva posto. Ora terminano con una domanda che ci ingloba tutti: In che tempo viviamo?"( idem, pg.211,).
Di
particolare significato risulta dunque la parte finale. "Ogni civiltà è
una visione del tempo. Istituzioni, opere d'arte, tecniche, filosofie, tutto
ciò che facciamo o sogniamo sono un tessuto di tempo...L'apparizione del tempo
moderno risultò in una inversione dei valori tradizionali, sia in Europa sia in
Asia: rottura del tempo circolare pagano, distruzione dell'assoluto atemporale
indù, discredito del passato cinese, fine dell'eternità cristiana...Il
progresso cessò di essere un'idea e si convertì in una fede. Cambiò il mondo e
le anime. Non ci redime dalla nostra contingenza; la esalta come un'avventura
che incessantemente ricomincia...Trappole del tempo: nel momento in cui
l'idolatria del cambiamento, la fede nel progresso come una legge storica e la
preminenza del futuro trionfano nel mondo, quelle idee hanno cominciato a
sgretolarsi...Forse il rimedio sta nel mettere al centro della triade
temporale, tra il passato che si allontana e il futuro che non arriva mai, il
presente. La realtà concreta di ogni giorno."( idem, pg.200-211).
Il presente che dobbiamo interrogare, e che solo la poesia è in grado di fare, non è quell’idolo che ancora va tanto di moda, quell’attimo fuggente o carpe diem con cui si sono fatti belli tanti intellettuali illudendo giovani anime e privandole di ogni prospettiva. Pur deformi però anche l’attimo fuggente e il carpe diem mostrano l’importanza di valorizzare il presente e Paz lo fa attraverso una seria e profonda riflessione personale e culturale.
Il presente è
il momento in cui si incontrano il passato con tutta la sua ricchezza, con
tutte le sue possibilità (Ricoeur scriveva che “anche il passato aveva un
futuro”) e il futuro aperto e in parte imprevedibile.
Il passato
non può essere riscritto, cancellato o rimosso, perché è e rimane parte di noi
che dobbiamo invece procedere a una sua metabolizzazione. In questo senso Paz,
messicano, ma vissuto anche in USA e Francia, ci offre una lezione importante
proprio pochi anni prima di uscire di scena e lo fa dall’India. Il carattere
poetico del libro è illustrato non certo dall’approfondimento culturale, ma
dalle numerose relazioni, i numerosi ponti che Paz individua tra i diversi
mondi e le diverse epoche in cui si è ritrovato, fondendo l’esperienza
personale con la riflessione culturale su questo universo e le prospettive che
questo incontro apriva.
Non sono solo
l’arrivo a Bombay nel 1951 a Delhi nel 1962 e la partenza definitiva da Bombay
nel 1968, il matrimonio con Maria Josè, gli amici, i viaggi nella regione in
quanto Ambasciatore anche per Ceylon e Afghanistan, ma persino l’incontro
dell’India con il Messico in tutte le loro varie espressioni. Non si tratta
solo di uno sguardo attento e mai stereotipato, sempre alla ricerca della
molteplicità dell’esistenza, come si vede nell’analisi delle caste, nei
caratteri tutt’altro che spirituali della religiosità indiana, nella
presentazione della figura di Gandhi, perché attraverso queste analisi egli
fortifica un metodo che corrisponde proprio a quella metabolizzazione di cui ho
parlato poco sopra. E tutto ciò avviene senza nulla togliere alla concretezza e
agli ideali indiani, ma cercando ancora di procedere nella costruzione della
propria persona, in un modo che ci lascia in eredità. “Noi, Maria José e io
non ubbidimmo all’oracolo di una gitana e il nostro incontro fu un
riconoscimento. Certo vivere è una condanna, ma è anche una scelta, è
determinismo e libertà. Nell’incontro di amore i due poli si uniscono in un
nodo enigmatico e così, nell’abbraccio della nostra coppia, abbracciamo il
nostro destino. Io cercavo me stesso e in questa ricerca incontrai il mio
completamento contraddittorio, quel tu (tu) che diventa io (yo); le due sillabe
della parola tuo ( tuyo)” (idem, pag. 37-38).
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