Ludovico Ariosto
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Meriti della fantasia
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Ariosto è un poeta di cui molti ignorano l’esistenza; ne
hanno sentito parlare sicuramente a scuola, ma probabilmente sarà rimasto ben
poco di quello che hanno letto o studiato, non credo per limiti dei docenti, ma
per una svolta nettissima che è stata impressa alla scuola italiana negli
ultimi decenni proprio sul piano culturale.
Il passato è andato coperto in una vaporosa nebbia,
sorretto dall’infausta teoria del “carpe diem”, proiezione non tanto precisa di
una cultura intesa solo ed esclusivamente come contemporaneità. Contrariamente
a quanto è stato per secoli, ci si è convinti che esista solo il presente e che
dunque valga la pena affrontare solo ciò che ci riguarda direttamente o da
vicino: tralasciando il peso della tecnica che mi porterebbe lontano, si sono
riempite le scuole, anche quelle superiori, di autori contemporanei e stranieri
soprattutto se i temi da loro affrontati possono essere simili a quelli degli
adolescenti di oggi. La cultura impostata in questo modo cessa di essere
cultura, cioè qualcosa che permette la coltivazione delle idee attraverso la
selezione, il rifiuto, la modifica, per trasformarsi in manuale operativo.
Laddove il manuale rischia di essere troppo generico esso si sposta sul piano
dell’ideologia e del moralismo: pace, diversamente abili, oppressi, violentati,
sfruttati, LGBT e tutto ciò che va di moda. Questo avviene anche per quanto
riguarda il passato che viene rivisitato in modo anacronistico e cioè alla luce
dell’oggi, anche se, per fortuna, non si è arrivati al punto di alcune
Università inglesi e americane, dove autori come Shakespeare sono banditi come
rappresentanti del potere bianco e maschile.
Forse qualche episodio dell’Orlando Furioso è stato letto
ed è rimasto nella mente di un ex-studente probabilmente perché si è puntato
sull’aspetto comico di certe storie del Poema, aspetto che non manca certamente,
ma che trasforma l’opera in un fumetto contemporaneo.
Eppure l’Orlando Furioso rimane una delle 100 opere di tutti
i tempi che, nelle inchieste che si
fanno regolarmente, verrebbero salvate in caso di distruzione dei libri scritti
nel corso della storia dell’umanità: se ci pensiamo bene, cento opere non sono
molte e scoprire che tra queste c’è il poema di Ariosto ci fa capire in che
considerazione esso è tenuto in tutto il mondo. Per me fu una sorpresa, lo
riconosco.
Eppure l’opera fu amata non solo in Italia tanto che
pochi decenni dopo la definitiva pubblicazione essa fu tradotta in spagnolo, in
francese, in inglese e un secolo dopo anche in tedesco, continuando per secoli
a nutrire l’animo delle persone. Nel corso del XX secolo il suo interesse è
andato scemando soprattutto per i motivi evidenziati sopra e nonostante i
tentativi di farlo rivivere grazie alla riduzione attualizzata fatta da Italo
Calvino e soprattutto grazie alla produzione teatrale di due avanguardie come
Sanguineti e il regista Ronconi. Quest’ultima opera risale al 1969 e suscitò un
grande entusiasmo soprattutto per l’intento sperimentale che l’animava e anche
un discreto successo, ma si trattò di un fuoco di paglia, ben presto spento
dagli eventi, comici e tragici che seguirono quell’anno.
Come ho cercato di spiegare nei post precedenti non è mia
intenzione (non ne ho né i mezzi né lo spazio) di discutere gli approdi della
critica fino ai nostri giorni; filosofi come Croce o critici come Caretti
appartengono a un piano a cui non oso avvicinarmi. Non intendo dunque competere
minimamente con chi ha dato un contributo decisivo perché il poema di Ariosto potesse
essere compreso e sviscerato in tutti i suoi minimi particolari. Il mio intento
è quello di cercare nell’opera qualche elemento che ci permetta di collegarlo
al mondo della complessità, universo e scienza che solo da pochi anni ha preso
forma e vigore: è stato lo stesso intento che mi sono posto come insegnante di
letteratura a partire dal 1994 da quando cioè la complessità ha assunto un
nuovo status epistemologico anche in Italia. Dovevo rispondere alla più
classica delle domande dei miei studenti: a cosa serve la letteratura? A cosa
serve leggere o conoscere l’Orlando Furioso? Non è stato facile e queste pagine
vogliono proporre una sintesi di quanto sviluppato in tanti anni di insegnamento.
Vorrei cominciare con un tema apparentemente paradossale
che mi ha fatto penare per molti anni e riguarda la considerazione che critici
importanti hanno fatto dell’Orlando Furioso come di un’opera che mette al
centro l’uomo. Ho sempre compreso o almeno cercato di comprendere il senso di
questa riflessione, che potrebbe apparire paradossale soprattutto per le
mirabolanti azioni del celebre paladino. L’esigenza di descrivere tutti gli
aspetti della vita sensibile dell’essere umano potrebbe contrastare con quegli
avvenimenti, ma il senso è più profondo e va oltre una lettura superficiale.
Avendo compreso (o creduto di comprendere) questa considerazione l’ho
riproposta ai miei studenti, i quali però hanno eretto un muro di
incomprensione: non riuscivano a capire questo rapporto e a loro sembrava che
l’Orlando Furioso fosse solo un’opera fantastica come negli ultimi decenni
stava tornando di moda. Dalla trilogia di Calvino a numerosi film a partire da
The NeverEnding story.
Attraverso una certa trasfigurazione potevo suggerire
quella convinzione, ad esempio dicendo che anche un noto e valoroso paladino
come Orlando poteva cadere in basso e impazzire nelle forme animalesche dello
scoppio della follia. Potevo anche far notare come l’amore fosse qualcosa di strano
e di irrazionale mostrando come un povero fante quale era Medoro potesse amare
e far innamorare addirittura la Regina del Catai, la bellissima Angelica.
Potevo poi proporre, grazie a una specie di traslazione poetica, il fatto che
il senno si trovasse sulla Luna, dal momento che è molto seria l’affermazione
“hai perso il cervello”: e in fondo Kafka aveva trasformato un giovane in un
enorme scarafaggio. Potevo mostrare ancora il magico castello di Atlante dove i
desideri sembrano materializzarsi ma risultano di fatto irraggiungibili,
confermando una caratteristica umana che è rappresentata dalla vanità, nel
senso di vuote aspirazioni.
Si tratta di trasposizioni allegoriche di significato che
non sono riconducibili alla classica figura retorica con cui spesso si invitano
gli studenti a leggere la poesia: sono veri e propri universi poetici che
mostrano la complessità dell’autore, densi e consistenti, irreali ma non
evanescenti. Gli adolescenti, per come li ho conosciuti in tanti anni di
insegnamento, non hanno difficoltà a entrare nel mondo fantastico come dimostra
l’interesse per il fumetto e per i cartoni, anche stranieri: basta pensare a
Miyazaki e agli anime giapponesi.
Ma gli adolescenti, in quanto tali, stanno vivendo anche
un approccio nuovo alla realtà e i due mondi cominciano a contrapporsi in modo
del tutto nuovo: amano il fantastico, ma sanno che dovranno vivere dentro un
mondo “reale”. Cominciano a mantenere separati i due universi, a non
confonderli, a godere del primo e a preoccuparsi per il secondo. Per questo
motivo hanno sempre espresso difficoltà a interpretare l’universo fantastico
ariostesco come una netta rivelazione di caratteristiche completamente umane.
Vedremo poi meglio come poter conciliare questa
contrapposizione.
C’è un’altra riflessione importante che come insegnante
avevo l’obbligo di proporre nelle mie lezioni e riguarda il fatto che l’Orlando
Furioso rappresenta la realtà rinascimentale italiana in tutti i suoi aspetti.
Come la precedente riflessione anche questa è vera e dobbiamo riconoscerlo
senza predisporre strani “aut aut”, ma il fatto che sia vera non esclude anche
che non lo sia; come scriveva Borges a proposito di Ugolino che “mangiò e
non mangiò i piccoli”. La dialettica degli opposti, di matrice idealista o
materialista non importa, trova la frase di Borges un controsenso e la salta a
piè pari.
Dunque vediamo la verità di questa seconda riflessione.
Ariosto rispecchiò nel Poema il mondo in cui era
inserito, per cui le situazioni iperboliche e fantastiche esprimono soltanto la
versione poetica di quel mondo e rappresentano una necessaria esigenza perché
la poesia non è descrizione semplice della realtà.
Il mondo dell’Ariosto, definito come uomo del suo tempo,
include anche lo spazio, cioè la realtà geografica.
In questo senso ritroviamo rappresentata l’Italia delle
Corti che ancora non aveva recepito quella crisi che in pochi anni avrebbe
devastato l’intera penisola facendole perdere quel primato, economico politico
culturale, che le aveva permesso di dominare per tutto il Basso Medioevo.
Del conflitto religioso che aveva animato le Chansons
de geste rimaneva solo un’eco lontana, tanto che, pur parlando di “paladini
della Croce” che hanno reso grande la Storia dell’Occidente, non c’è mai quel
dramma che invece caratterizzerà pochi decenni dopo l’opera di Tasso. Certo il
Cristianesimo è la vera religione e la religione della verità ma questo
rappresenta solo un dato di fatto su cui non vale insistere. Nessuna guerra di
religione vera e propria.
La storia delle corti è da sempre narrazione di amore e
in questo senso l’amore domina in lungo e in largo: “donne, amori, cortesie”
sono i temi che vengono richiamati fin da subito: “Le donne, i cavallier,
l’arme, gli amori / le cortesie, l’audaci imprese io canto”. Ruggero e
Logistilla, Doralice e Rodomonte, Doralice e Mandricardo, Ruggero e Bradamante,
Isabella e Zerbino, Isabella e Rodomonte, Brandimarte e Fiordiligi, Angelica e
Medoro e tanti altri, oltre naturalmente Angelica e Orlando. Sfaccettature,
diversi inquadramenti, tante storie, capovolgimenti di fronte: l’amore è il
tema dominante?
Non credo che esista un tema dominante e il concetto di
tema come quello di dominante o principale andrebbe completamente rivisto; mi
ricorda il rapporto tra struttura e sovrastruttura di marxiana memoria oppure
le cause principali e secondarie e tutta quella serie di strumenti, scambiati
per metodo, con cui la storiografia ha cercato di imitare (o scimmiottare) il
metodo scientifico.
La critica letteraria ha sempre cercato di individuare un
elemento che caratterizzasse l’opera oggetto di studio e più importante è
l’opera e più numerose sono le interpretazioni. I Promessi Sposi raggiungono
forse il massimo. C’è sempre l’impostazione ideologica dello studioso e poi si
procede per gusti personali: dunque amore, eroismo, guerra, armonia, vanità e
follia, magia, esagerazione, ironia, quête (ricerca) e tanto altro.
Io non sostituisco quegli elementi con uno nuovo ma
vorrei impostare la questione secondo una visione complessa.
Ho preso in considerazione due modi di leggere l’Orlando
Furioso, due modi che, come tutti gli altri, condivido pienamente; non sono la
Verità ma esprimono delle verità. In un mondo complesso, anzi più complesso, “solo
questo posso dire, ciò che non siamo ciò che non vogliamo”. Anche i versi
di Montale esprimono delle verità, ma da allora (ormai un secolo) il mondo si è
fatto ancor più complesso e soprattutto ha superato l’intuizione poetica e ha
cominciato a individuare oltre a degli orizzonti anche dei percorsi. Abbiamo
capito e continuiamo a capire meglio e sempre di più come funziona la rete
delle relazioni e dunque anche delle conoscenze e, per quel che ci riguarda
qui, dobbiamo renderci conto che “il tutto è maggiore della somma delle
singole parti”, per cui non basta assemblare o, peggio, accatastare i
diversi aspetti che riusciamo ad individuare, perché l’insieme rappresenta un
salto, un qualcosa che non è riconducibile alle singole parti messe insieme.
Dobbiamo dunque partire dalla rete e com-prenderla sia
come insieme sia come particolarità interconnesse.
Il poema ariostesco non è lineare, anche se la fine è il
frutto di avvenimenti che hanno avuto un inizio, e non è neppure lineare nel
senso della “lisca di pesce”: molti testi presentano l’opera come basata
sull’amore di Orlando che, dopo essere impazzito, riesce a recuperare il senno.
Su questo filo conduttore si svilupperebbero numerosi episodi secondari, alla
moda degli entrelacements medievali, intrecci di storie autonome ma in qualche
modo legate al filone principale. In realtà se leggiamo lo sviluppo narrativo
del poema ci rendiamo conto che è opera vana quella di rintracciare un filo
conduttore, serio e reale, come poteva essere il matrimonio di Renzo e Lucia ne
I Promessi Sposi.
L’Orlando Furioso sfugge a ogni tentativo di
rassicurazione e di riduzione a schemi che ragionano in termini di elemento
principale e secondario. Si tratta di una narrazione che potrebbe richiamare
l’immagine della spirale con volute ad anelli, nel senso che Angelica e Orlando
al di là delle loro distanze e degli eventi casuali escono di scena ben prima
della fine. Molte storie, troppe storie costituiscono in modo magmatico la
materia che Ariosto decide di sviluppare. Una spirale è l’immagine che aiuta a
comprendere come una realtà possa progredire in modo evolutivo: le rotture
possono essere ampie ma non interrompono i flussi della continuità. I
personaggi sono simboli di eventi e diventano la bandierina di una corsa (un
po' come nel gioco dell’oca) che si
sposta in continuazione ma senza dimenticare le sue origini e i passi compiuti
in precedenza.
Il Poema è composto di 46 canti.
Ruggiero ad esempio, pagano che si converte al
Cristianesimo e che darà origine alla dinastia degli Estensi, è mostrato nella
sua importanza fino dai primi canti, scompare e ricompare, è evocato in
continuazione e diventa protagonista di numerose avventure delle quali Ariosto
si serve per dare sfogo alla sua fantasia. E’ Ruggiero e non Orlando che
conclude il Poema con l’uccisione di Rodomonte e il matrimonio con Bradamante.
Angelica inizia alla grande, contesa come è da molti
cavalieri; incontra Rinaldo, Ferraù, Sacripante, mentre Orlando va a Parigi
alla ricerca dell’amata, viene salvata da Ruggiero, ma Angelica trova un umile
fante, ferito, Medoro, lo cura e se ne innamora. Alla fine Angelica porta
Medoro nel Catai per farlo succedere al padre. Ritroviamo infine Angelica in
Spagna dove riesce a sfuggire a Orlando. Da qui esce di scena.
Astolfo è un altro personaggio curioso e che non può
essere sottoposto a un’operazione riduzionistica. Il paladino va in Etiopia,
poi all’Inferno, giunge nel Paradiso Terrestre, torna in Etiopia e combatte per
tutta l’Africa i pagani, va sulla Luna per restituire il senno ad Orlando, vien
trasformato in pianta; lo troviamo poi in Siria, in Francia, in Inghilterra, in
Egitto e a sorvolare Africa ed Europa. Astolfo è un personaggio straordinario:
ha una lancia d’oro che disarciona i cavalieri, ha un corno che terrorizza i
nemici, un libro incantato, ha un ippogrifo, cioè un cavallo alato. Un
personaggio prestigioso e un viaggiatore instancabile: parrebbe un alter ego di
Ariosto, mentre in realtà è un altro Ariosto (come scrisse Rimbaud: l’IO è un
altro).
Nessun percorso lineare dunque, ma un’opera che si propone come qualcosa
di complesso, che in questo caso vuol proprio dire non riducibile: nessun tema,
nessun topos, nessun elemento per quanto ripetuto può permetterci di dare vita
a uno o più schemi. E’ vero che spesso si dice una cosa simile di quasi tutte
le opere letterarie, ma nell’Orlando Furioso non è possibile concentrarci su un
tema o su un personaggio senza perdere il senso della narrazione. Ariosto, uomo
semplice e che “piuttosto che onor voglio quiete”, dà vita a una storia
labirintica, una specie di videogioco dei nostri tempi. Nel labirinto possiamo
perderci ed è ciò che può succedere se non ci accontentiamo di ridurre l’opera alla
trama, al “cosa”: cerchiamo topoi, troviamo schemi e improvvisamente
come d’incanto il labirinto scompare e ci ritroviamo immersi nell’anodina vita
di tutti i giorni.
Da un punto di vista della complessità personaggi ed
eventi sono legati, ma in modo non deterministico e occorrono sempre strumenti
nuovi per poter ricostruire una situazione complessa. L’evoluzione verso
maggiori livelli di complessità ha visto passaggi tutt’altro che semplici: in
campo matematico Euclide ha rappresentato un punto importante che ha retto per
la capacità di rispondere alla maggior parte dei quesiti che la vita ci poneva:
si trattava di un universo completo e autoreferenziale al quale la filosofia
aristotelica seppe dare un grosso contributo. Con la crescita della complessità
a tutti i livelli della società, sia pratici sia teorici, nuove domande avevano
bisogno di essere prese in considerazione e sempre più quegli strumenti
risultavano inadeguati. Galileo introdusse il metodo scientifico determinando
una crisi dell’aristotelismo, divenuto ormai qualcosa di fideistico, ma di
fatto si pose come il moderno continuatore delle problematiche e dei metodi di
Aristotele. Nuove suggestioni, nuove idee, nuove proposte producevano
incrinature nell’edificio anche nella fase del suo rinnovamento, ma ebbero
difficoltà a imporsi: ne è testimonianza certa il fatto che i nuovi punti di
vista per quanto dimostrati e diffusi si scontravano con le migliori menti del
tempo, come Einstein rispetto alle conseguenze della teoria quantistica. Il
fatto era che non solo l’uomo comune ma anche lo scienziato si facevano portavoce
di quel mondo che anno dopo anno, secolo dopo secolo si era consolidato e
confermato crescendo su se stesso.
In questo universo chiuso non c’era posto per la
letteratura, utile svago e fuga dalla realtà quotidiana. Solo oggi che quell’universo
si è frantumato e si comincia a concepire un rapporto tra scienze fisiche e
umane di una nuova alleanza, come lo chiama il Premio Nobel Prigogine, solo
oggi possiamo recuperare il valore creativo di una parte non limitata della
letteratura. Purtroppo abbiamo ancora bisogno di una legittimazione da parte
delle scienze fisiche, ma è inevitabile, visto il peso che queste hanno
accumulato nel corso degli ultimi secoli.
Tornando all’Orlando Furioso questo aspetto non ha
difficoltà ad emergere se siamo capaci di liberarci dei presupposti o
pregiudizi con cui si è guardato finora alla letteratura.
Nessun filo conduttore, nessun tema principale, nessuno
schema: la storia narrata da Ariosto si presenta come una rete di rete di rete,
con i suoi hub e le sue sinapsi. E, come nei sistemi reticolari, ogni parte è
allo stesso tempo centro e periferia a seconda del punto di vista con cui ci
proiettiamo negli avvenimenti. Il mondo è un insieme di reti di cui noi stessi
facciamo parte e con cui dobbiamo continuamente fare i conti in un insieme di
relazioni che allo stesso tempo ci influenzano e da cui ci facciamo
influenzare.
Le neuroscienze, una delle branche maggiormente
sviluppate negli ultimi anni ci hanno fornito un importante contributo.
Da sempre abbiamo separato molti aspetti della vita,
credendo che non appartenessero alla nostra esperienza vitale, perché avevamo
bisogno di stabilire dei confini: non è un errore ma ora abbiamo compreso che
si tratta di un limite.
Abbiamo detto che il sogno è altro dall’esistenza e
tutt’al più un riflesso di esperienze vissute; abbiamo creduto che la memoria
fosse un insieme di ricordi fissi e archiviati nella mente; abbiamo separato la
coscienza dal mondo, la res cogitans dalla res extensa; abbiamo
privato la letteratura della sua capacità di azione e di trasformazione;
abbiamo estratto dal nostro sapere quanto apparteneva al mondo fisico e lo
abbiamo considerato come qualcosa di oggettivo e assoluto; abbiamo considerato
il mondo spirituale dipendente da quello materiale e in questo abbiamo creduto
vi fossero delle relazioni prioritarie; abbiamo ridotto la religione e il
bisogno di vivere oltre la vita a inutili e fastidiose illusioni; abbiamo
esaltato la pace per liberarci di quella componente guerresca che, a diversi
livelli, ci forma e ci conforma; abbiamo inventato la società per non fare i
conti con noi stessi. Da quando Petrarca aveva scritto l’invettiva contro un
medico e il libro sull’ignoranza di se stesso e di molti i tempi
erano cambiati: l’interesse per la persona era stato sostituito dallo studio
del mondo, grazie alle scienze aristoteliche che avevano la pretesa di coprire
tutti gli aspetti del reale.
Ariosto aveva un rapporto molto particolare con quel
mondo tanto che la sua vita è sempre ricordata per una certa pigrizia che lo
portò varie volte a collidere con i suoi mecenati; solo una volta accettò
l’ordine degli Estensi, di andare a governare la Garfagnana, nonostante fosse
un luogo selvaggio e privo di attrazione. Nelle Satire svelò quelle che erano
le sue attitudini e verso quali orizzonti intendeva muoversi.
Una breve digressione ci aiuta a capire non solo cosa
vivesse ma come vivesse e non tanto per curiosità ma per stabilire connessioni
col discorso che sto sviluppando. Vediamo.
Nella Satira I spiega le ragioni che lo hanno portato a
rifiutare l’invito del Cardinale Ippolito d’Este a seguirlo in Ungheria.
Prima la vita, a cui
poche o nessuna/cosa ho da preferir, che far più breve/non voglio che ’l ciel
voglia o la Fortuna.
Oltra che ’l dicano essi,
io meglio i miei/casi de ogni altro intendo; e quai compensi/mi siano utili so,
so quai son rei.
Il freddo del
clima, il caldo delle stufe, il cibo troppo speziato, il bere vino forte,
vapori che lo farebbero ammalare.
più tosto che arricchir, voglio quïete: più tosto che
occuparmi in altra cura, sì che inondar lasci il mio studio a Lete. Il qual, se al corpo non può dar pastura, lo
dà alla mente con sì nobil ésca, che merta di non star senza cultura.
Quiete non
ricchezza; studio non azione; né povertà né ricchezza. Fuori dai giochi di
corte e dai servigi da dover richiedere o da dover fare. Vivere in casa propria
senza render conto a nessuno. Dignità.
Fa che la povertà meno m'incresca, e fa che
la ricchezza sì non ami che di mia libertà per suo amor esca;
quel ch'io non spero aver, fa ch'io non
brami, che né sdegno né invidia me consumi perché Marone o Celio il signor
chiami; ch'io non aspetto a mezza estade
i lumi per esser col signor veduto a cena, ch'io non lascio accecarmi in questi
fumi; ch'io vado solo e a piedi ove mi mena il mio bisogno, e quando io vo a
cavallo, le bisaccie gli attacco su la schiena. E credo che sia questo minor
fallo che di farmi pagar, s'io raccomando al principe la causa d'un
vasallo;
o mover liti in benefici, quando ragion non
v'abbia, e facciami i pievani ad offerir pension venir pregando.
Anco fa che al ciel levo ambe le mani,
ch'abito in casa mia commodamente, voglia tra cittadini o tra villani; e che
nei ben paterni il rimanente del viver mio, senza imparar nova arte, posso, e
senza rossor, far, di mia gente.
La
conclusione è una breve favola: un asino magro vede un pertugio che porta in
una stanza piena di cibo, vi entra e mangia a più non posso; solo che è
talmente grasso che non passa dal pertugio, cosa che può fare solo tornando
magro vomitando tutto ciò che ha mangiato:
Or, conchiudendo, dico che, se 'l sacro
Cardinal comperato avermi stima con li suoi doni, non mi è acerbo et acro
renderli, e tòr la libertà mia prima.
L’argomento è
ripreso nella Satira III.
Contrariamente
al pensiero comune Ariosto considera servitù lo stare a corte. D’altra parte
non tutti sono eguali:
…Non si adatta una sella o un basto solo ad ogni dosso; ad un non par che l'abbia,
all'altro stringe e preme e gli dà duolo. Mal può durar il rosignuolo in
gabbia, più vi sta il gardelino, e più il fanello; la rondine in un dì vi mor
di rabbia. Chi brama onor di sprone o di capello, serva re, duca, cardinale o
papa; io no, che poco curo questo e quello. In casa mia mi sa meglio una rapa
ch'io cuoca, e cotta s'un stecco me inforco e mondo, e spargo poi di acetto e
sapa, che all'altrui mensa tordo, starna o porco selvaggio; e così sotto una
vil coltre, come di seta o d'oro, ben mi corco. E più mi piace di posar le
poltre membra, che di vantarle che alli Sciti sien state, agli Indi, alli
Etiopi, et oltre.
I desideri
degli uomini sono tanti e diversi. Chi vuole viaggiare viaggi, lui ha visto
abbastanza.
Degli uomini son varii li appetiti: a chi
piace la chierca, a chi la spada, a chi la patria, a chi li strani liti. Chi vuole andare a torno, a torno vada: vegga
Inghelterra, Ongheria, Francia e Spagna; a me piace abitar la mia contrada. Visto
ho Toscana, Lombardia, Romagna, quel monte che divide e quel che serra Italia, e un mare e l'altro che la bagna.
L’atlante gli
permetterà di vedere il resto del mondo senza paura né pericolo.
Questo mi basta; il resto de la terra, senza
mai pagar l'oste, andrò cercando con Ptolomeo, sia il mondo in pace o in
guerra; e tutto il mar, senza far voti quando
lampeggi il ciel, sicuro in su le carte verrò, più che sui legni,
volteggiando. Il servigio del Duca, da ogni parte che ci sia buona, più mi
piace in questa: che dal nido natio raro si parte. Per questo i studi miei poco molesta, né mi
toglie onde mai tutto partire non posso, perché il cor sempre ci resta.
Dunque ancora
una volta gli studi, la libertà degli studi, il senso dei limiti e delle
possibilità di un intellettuale che gode di una situazione politica e culturale
straordinaria che vede la grande stagione umanistico-rinascimentale all’apogeo.
Si può ironizzare
su quest’uomo che preferisce rimanere appartato per potersi dedicare agli studi
e all’attività poetica; si è fatto spesso di contrapporre l’uomo al poeta, un
uomo lontanissimo dal mito dell’impegno e dell’eroe e un poeta grandissimo. In
questa operazione si è creato nuovamente il baratro tra letteratura e vita,
continuando a fare della prima uno strumento importante di evasione, baratro
che si nutrirà sempre di più procedendo a una sempre maggiore separazione tra
poesia (e letteratura in generale) e vita. Tralascio il dibattito teorico che
avrà nel 1900 punte significative ed esperienze incredibili come quella del
realismo socialista e mi concentro su quanto percepito dal pubblico, cioè dal
lettore medio.
Non c’è
dubbio che per la maggior parte delle persone lo studio della letteratura a
scuola ha assunto il significato di acquisizione di maggior cultura generale,
paragonabile alla conoscenza della geografia e della storia, utile soprattutto
per vincere una disputa in famiglia o guadagnare qualche soldo nei programmi
televisivi. Con queste premesse le persone, una volta divenute adulte, è già
tanto che aprano qualche libro, ma per fortuna lo fanno; solo che serve come
passatempo o godimento estetico (avventura, amore, sesso, compassione, grazie
anche alla diffusione del tema “disabilità”).
Tutto dunque
eccetto di vedere la letteratura come qualcosa che è (ed è stata) capace di
creare vita: la vita dell’autore e la vita del lettore.
Torniamo ad
Ariosto e alla descrizione della sua vita fatta nelle Satire in rapporto alla
sua creazione poetica, l’Orlando Furioso.
La sua vita
appartata gli ha permesso di portare la sua fantasia alle estreme conseguenze e
la sua produzione fantastica ha permesso di nutrire la sua esistenza e il senso
che ha voluto dare alla sua vita.
Cosa
c’entrano in tutto questo le neuroscienze?
Nonostante i
numerosi dibattiti sul rapporto tra Io e Mondo, tra Soggetto e Oggetto, tra
Conoscenza e Interpretazione, tra Spirito e Materia, tra Realtà e Noumeno, tra
Necessità e Libertà è solo grazie agli sviluppi delle neuroscienze realizzati
nel nuovo millennio che si è arrivati a un punto di non ritorno. Si tratta di
acquisizioni non esaustive, da cui ripartire e di cui occorre tener conto,
senza le quali la spirale diventa un boomerang.
Un aspetto
importante è stato riconoscere come la struttura del cervello si fa emblematica
della struttura del reale, attraverso neuroni e sinapsi che hanno prodotto
analogie scientifiche a tutti i livelli, dalla matematica alla sociologia agli
studi interdisciplinari.
Più
importante è senz’altro riconoscere come specifico, naturale, necessario,
essenziale attributo e prodotto del cervello umano tutto quel materiale che per
secoli è stato espunto dall’esperienza umana come qualcosa di inadeguato,
limitativo o addirittura sbagliato.
La religione
appartiene al cervello ed è dunque elemento inerente all’essere umano.
Aspetti della
religione come la transustanziazione non sono allucinazioni, ma prodotti
naturali dell’attività cerebrale.
La metafora
non è semplicemente un artificio retorico, ma un modo regolare e regolarmente
usato con cui il cervello si attiva.
La memoria
non è un archivio stabile, ma un processo continuo di rimodulazione e
trasformazione.
Il materiale
prodotto dalle neuroscienze, naturalmente, non si riduce a questi quattro
esempi, ma questi sono facilmente accessibili e com-prensibili e ci permettono
di avere una visione dell’Orlando Furioso diversa da quelle tradizionali, una
visione e dei percorsi che ci riguardano direttamente.
L’Orlando Furioso è un labirinto umano di tipo reticolare nel quale si
attiva e si riproduce la caratteristica essenza del cervello umano. La fantasia
di cui Ariosto permea tutto il Poema è materiale reale e ci obbliga ad
apprezzarne la tessitura; è grazie a quello tsunami di fantasia che possiamo
entrare nell’universo poetico di Ariosto, ma soprattutto possiamo cominciare a
comprendere e valorizzare la fantasia come attività reale della persona.
Alla stessa stregua del sogno, che non è cosa altra rispetto alla vita da
svegli, la fantasia non è qualcosa che non ha a che fare con la realtà. Al
contrario, come il sogno è un passaggio importante per cercare di capire il
nostro essere, la fantasia è uno strumento che ci aiuta a fare i conti con noi
stessi. E non per le capacità predittive che essa può avere: pensiamo a Verne o
alle opere che riguardano il viaggio nello spazio.
La fantasia è
una componente reale di quel reticolo vasto e complesso che caratterizza
l’esistenza umana.
La pazzia di
Orlando non può essere ridotta al “cosa”, alla sofferenza fino alla follia che
il mal d’amore può generare, ma va letta per il “come”, le manifestazioni con
cui essa si esprime, dalla grotta alla camera del pastore fino alle mirabolanti
gesta nelle campagne circostanti. Sono aspetti dell’esistenza che Ariosto ha
portato alla luce e grazie ai quali ci è offerta una possibilità in più di fare
i conti con noi stessi, con le nostre parole, con i nostri pensieri, con le
nostre azioni.
Tutti quegli
aspetti che ad una lettura superficiale appaiono poco realistici parlano a noi
e soprattutto parlano di noi: l’Ippogrifo (cavallo alato), l’isola della fata Alcina
con rocce e piante parlanti, il palazzo di Atlante con i suoi specchi e le sue
allucinazioni, il libro di Logistilla, l’anello magico di Melissa, le ampolle
con il senno perduto in Terra, i cavalli le spade le lance e tant’altro.
Anche gli
spostamenti tra i luoghi sono prodotto della fantasia, non solo per i mezzi
usati, ma per l’intensità geografica che permette ad Ariosto di procedere come
meglio crede, ma sempre sulle tracce, come ha scritto nella Satira III, di
Tolomeo. In questo senso è proprio l’Atlante la fonte più affidabile
dell’opera: i luoghi sono infatti quasi sempre geograficamente determinati e coprono l’orbe
terracqueo, dando conferma che quanto può sembrare assurdo, paradossale o
iperbolico si muove dentro i confini del mondo che conosciamo.
Interrogazione
di Letteratura. Numero 1.
Prof. 1: Parlami dell’Orlando Furioso.
Studente 1: 1516…Boiardo…Armonia…Ironia…46 Canti…Ottave…Personaggi.
Interrogazione
di Letteratura. Numero 2
Prof. 2: Come può essere letto l’Orlando Furioso dal punto di
vista della Scienza contemporanea?
Studente 2: Fine determinismo e leggi
universali…neuroscienze…complessità della realtà…Realtà della fantasia
(esempi)…Complessità dei personaggi (esempi).
CONCLUSIONI:
Lo studente 1 ha mostrato buone conoscenze dell’opera e la cosa non
cambierebbe se gli venisse chiesto ad es. un confronto con l’epica medievale.
Lo studente 2 ha mostrato buone conoscenze epistemologiche.
A questo
livello si tratta di aver acquisito conoscenze che mettono i due studenti sullo
stesso piano, sebbene quelle conoscenze siano diverse.
Ma c’è una
differenza qualitativa: le conoscenze dello studente 1 sono chiuse, circolari,
gli forniscono un sapere maggiore; le conoscenze dello studente 2 sono invece
aperte, gli forniscono elementi che gli permettono collegamenti in tutte le
direzioni, dalla chimica alla fisica alle scienze alla matematica alla storia,
oltre che ad altre letterature. Lo studente 2 comincia a comprendere il
carattere complesso del mondo e della persona, carattere che può ritrovare in
ogni campo; si accorge che, nonostante il pensiero comune, le cose funzionano
in maniera più articolata e profonda e riceve lo stimolo a guardare sempre più oltre
la superficie e a non accontentarsi di stereotipi e luoghi comuni, per quanto
diffusi e condivisi essi siano.
Probabilmente
lo Studente 2 avrà minori conoscenze dell’altro, ma ciò che conta oggi non sono
le conoscenze in sé, ma la capacità di organizzarle e svilupparle; per fare
questo risulta decisivo il metodo e il dialogo con le più recenti acquisizioni
scientifiche.
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