Ludovico Ariosto
Meriti della fantasia

Ariosto è un poeta di cui molti ignorano l’esistenza; ne hanno sentito parlare sicuramente a scuola, ma probabilmente sarà rimasto ben poco di quello che hanno letto o studiato, non credo per limiti dei docenti, ma per una svolta nettissima che è stata impressa alla scuola italiana negli ultimi decenni proprio sul piano culturale.

Il passato è andato coperto in una vaporosa nebbia, sorretto dall’infausta teoria del “carpe diem”, proiezione non tanto precisa di una cultura intesa solo ed esclusivamente come contemporaneità. Contrariamente a quanto è stato per secoli, ci si è convinti che esista solo il presente e che dunque valga la pena affrontare solo ciò che ci riguarda direttamente o da vicino: tralasciando il peso della tecnica che mi porterebbe lontano, si sono riempite le scuole, anche quelle superiori, di autori contemporanei e stranieri soprattutto se i temi da loro affrontati possono essere simili a quelli degli adolescenti di oggi. La cultura impostata in questo modo cessa di essere cultura, cioè qualcosa che permette la coltivazione delle idee attraverso la selezione, il rifiuto, la modifica, per trasformarsi in manuale operativo. Laddove il manuale rischia di essere troppo generico esso si sposta sul piano dell’ideologia e del moralismo: pace, diversamente abili, oppressi, violentati, sfruttati, LGBT e tutto ciò che va di moda. Questo avviene anche per quanto riguarda il passato che viene rivisitato in modo anacronistico e cioè alla luce dell’oggi, anche se, per fortuna, non si è arrivati al punto di alcune Università inglesi e americane, dove autori come Shakespeare sono banditi come rappresentanti del potere bianco e maschile.

Forse qualche episodio dell’Orlando Furioso è stato letto ed è rimasto nella mente di un ex-studente probabilmente perché si è puntato sull’aspetto comico di certe storie del Poema, aspetto che non manca certamente, ma che trasforma l’opera in un fumetto contemporaneo.

Eppure l’Orlando Furioso rimane una delle 100 opere di tutti i tempi che, nelle inchieste che  si fanno regolarmente, verrebbero salvate in caso di distruzione dei libri scritti nel corso della storia dell’umanità: se ci pensiamo bene, cento opere non sono molte e scoprire che tra queste c’è il poema di Ariosto ci fa capire in che considerazione esso è tenuto in tutto il mondo. Per me fu una sorpresa, lo riconosco.

Eppure l’opera fu amata non solo in Italia tanto che pochi decenni dopo la definitiva pubblicazione essa fu tradotta in spagnolo, in francese, in inglese e un secolo dopo anche in tedesco, continuando per secoli a nutrire l’animo delle persone. Nel corso del XX secolo il suo interesse è andato scemando soprattutto per i motivi evidenziati sopra e nonostante i tentativi di farlo rivivere grazie alla riduzione attualizzata fatta da Italo Calvino e soprattutto grazie alla produzione teatrale di due avanguardie come Sanguineti e il regista Ronconi. Quest’ultima opera risale al 1969 e suscitò un grande entusiasmo soprattutto per l’intento sperimentale che l’animava e anche un discreto successo, ma si trattò di un fuoco di paglia, ben presto spento dagli eventi, comici e tragici che seguirono quell’anno.

Come ho cercato di spiegare nei post precedenti non è mia intenzione (non ne ho né i mezzi né lo spazio) di discutere gli approdi della critica fino ai nostri giorni; filosofi come Croce o critici come Caretti appartengono a un piano a cui non oso avvicinarmi. Non intendo dunque competere minimamente con chi ha dato un contributo decisivo perché il poema di Ariosto potesse essere compreso e sviscerato in tutti i suoi minimi particolari. Il mio intento è quello di cercare nell’opera qualche elemento che ci permetta di collegarlo al mondo della complessità, universo e scienza che solo da pochi anni ha preso forma e vigore: è stato lo stesso intento che mi sono posto come insegnante di letteratura a partire dal 1994 da quando cioè la complessità ha assunto un nuovo status epistemologico anche in Italia. Dovevo rispondere alla più classica delle domande dei miei studenti: a cosa serve la letteratura? A cosa serve leggere o conoscere l’Orlando Furioso? Non è stato facile e queste pagine vogliono proporre una sintesi di quanto sviluppato in tanti anni di insegnamento.



Vorrei cominciare con un tema apparentemente paradossale che mi ha fatto penare per molti anni e riguarda la considerazione che critici importanti hanno fatto dell’Orlando Furioso come di un’opera che mette al centro l’uomo. Ho sempre compreso o almeno cercato di comprendere il senso di questa riflessione, che potrebbe apparire paradossale soprattutto per le mirabolanti azioni del celebre paladino. L’esigenza di descrivere tutti gli aspetti della vita sensibile dell’essere umano potrebbe contrastare con quegli avvenimenti, ma il senso è più profondo e va oltre una lettura superficiale. Avendo compreso (o creduto di comprendere) questa considerazione l’ho riproposta ai miei studenti, i quali però hanno eretto un muro di incomprensione: non riuscivano a capire questo rapporto e a loro sembrava che l’Orlando Furioso fosse solo un’opera fantastica come negli ultimi decenni stava tornando di moda. Dalla trilogia di Calvino a numerosi film a partire da The NeverEnding story.

Attraverso una certa trasfigurazione potevo suggerire quella convinzione, ad esempio dicendo che anche un noto e valoroso paladino come Orlando poteva cadere in basso e impazzire nelle forme animalesche dello scoppio della follia. Potevo anche far notare come l’amore fosse qualcosa di strano e di irrazionale mostrando come un povero fante quale era Medoro potesse amare e far innamorare addirittura la Regina del Catai, la bellissima Angelica. Potevo poi proporre, grazie a una specie di traslazione poetica, il fatto che il senno si trovasse sulla Luna, dal momento che è molto seria l’affermazione “hai perso il cervello”: e in fondo Kafka aveva trasformato un giovane in un enorme scarafaggio. Potevo mostrare ancora il magico castello di Atlante dove i desideri sembrano materializzarsi ma risultano di fatto irraggiungibili, confermando una caratteristica umana che è rappresentata dalla vanità, nel senso di vuote aspirazioni.

Si tratta di trasposizioni allegoriche di significato che non sono riconducibili alla classica figura retorica con cui spesso si invitano gli studenti a leggere la poesia: sono veri e propri universi poetici che mostrano la complessità dell’autore, densi e consistenti, irreali ma non evanescenti. Gli adolescenti, per come li ho conosciuti in tanti anni di insegnamento, non hanno difficoltà a entrare nel mondo fantastico come dimostra l’interesse per il fumetto e per i cartoni, anche stranieri: basta pensare a Miyazaki e agli anime giapponesi.

Ma gli adolescenti, in quanto tali, stanno vivendo anche un approccio nuovo alla realtà e i due mondi cominciano a contrapporsi in modo del tutto nuovo: amano il fantastico, ma sanno che dovranno vivere dentro un mondo “reale”. Cominciano a mantenere separati i due universi, a non confonderli, a godere del primo e a preoccuparsi per il secondo. Per questo motivo hanno sempre espresso difficoltà a interpretare l’universo fantastico ariostesco come una netta rivelazione di caratteristiche completamente umane.

Vedremo poi meglio come poter conciliare questa contrapposizione.

C’è un’altra riflessione importante che come insegnante avevo l’obbligo di proporre nelle mie lezioni e riguarda il fatto che l’Orlando Furioso rappresenta la realtà rinascimentale italiana in tutti i suoi aspetti. Come la precedente riflessione anche questa è vera e dobbiamo riconoscerlo senza predisporre strani “aut aut”, ma il fatto che sia vera non esclude anche che non lo sia; come scriveva Borges a proposito di Ugolino che “mangiò e non mangiò i piccoli”. La dialettica degli opposti, di matrice idealista o materialista non importa, trova la frase di Borges un controsenso e la salta a piè pari.

Dunque vediamo la verità di questa seconda riflessione.

Ariosto rispecchiò nel Poema il mondo in cui era inserito, per cui le situazioni iperboliche e fantastiche esprimono soltanto la versione poetica di quel mondo e rappresentano una necessaria esigenza perché la poesia non è descrizione semplice della realtà.

Il mondo dell’Ariosto, definito come uomo del suo tempo, include anche lo spazio, cioè la realtà geografica.

In questo senso ritroviamo rappresentata l’Italia delle Corti che ancora non aveva recepito quella crisi che in pochi anni avrebbe devastato l’intera penisola facendole perdere quel primato, economico politico culturale, che le aveva permesso di dominare per tutto il Basso Medioevo.

Del conflitto religioso che aveva animato le Chansons de geste rimaneva solo un’eco lontana, tanto che, pur parlando di “paladini della Croce” che hanno reso grande la Storia dell’Occidente, non c’è mai quel dramma che invece caratterizzerà pochi decenni dopo l’opera di Tasso. Certo il Cristianesimo è la vera religione e la religione della verità ma questo rappresenta solo un dato di fatto su cui non vale insistere. Nessuna guerra di religione vera e propria.

La storia delle corti è da sempre narrazione di amore e in questo senso l’amore domina in lungo e in largo: “donne, amori, cortesie” sono i temi che vengono richiamati fin da subito: “Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori / le cortesie, l’audaci imprese io canto”. Ruggero e Logistilla, Doralice e Rodomonte, Doralice e Mandricardo, Ruggero e Bradamante, Isabella e Zerbino, Isabella e Rodomonte, Brandimarte e Fiordiligi, Angelica e Medoro e tanti altri, oltre naturalmente Angelica e Orlando. Sfaccettature, diversi inquadramenti, tante storie, capovolgimenti di fronte: l’amore è il tema dominante?

Non credo che esista un tema dominante e il concetto di tema come quello di dominante o principale andrebbe completamente rivisto; mi ricorda il rapporto tra struttura e sovrastruttura di marxiana memoria oppure le cause principali e secondarie e tutta quella serie di strumenti, scambiati per metodo, con cui la storiografia ha cercato di imitare (o scimmiottare) il metodo scientifico.

La critica letteraria ha sempre cercato di individuare un elemento che caratterizzasse l’opera oggetto di studio e più importante è l’opera e più numerose sono le interpretazioni. I Promessi Sposi raggiungono forse il massimo. C’è sempre l’impostazione ideologica dello studioso e poi si procede per gusti personali: dunque amore, eroismo, guerra, armonia, vanità e follia, magia, esagerazione, ironia, quête (ricerca) e tanto altro.

Io non sostituisco quegli elementi con uno nuovo ma vorrei impostare la questione secondo una visione complessa.

Ho preso in considerazione due modi di leggere l’Orlando Furioso, due modi che, come tutti gli altri, condivido pienamente; non sono la Verità ma esprimono delle verità. In un mondo complesso, anzi più complesso, “solo questo posso dire, ciò che non siamo ciò che non vogliamo”. Anche i versi di Montale esprimono delle verità, ma da allora (ormai un secolo) il mondo si è fatto ancor più complesso e soprattutto ha superato l’intuizione poetica e ha cominciato a individuare oltre a degli orizzonti anche dei percorsi. Abbiamo capito e continuiamo a capire meglio e sempre di più come funziona la rete delle relazioni e dunque anche delle conoscenze e, per quel che ci riguarda qui, dobbiamo renderci conto che “il tutto è maggiore della somma delle singole parti”, per cui non basta assemblare o, peggio, accatastare i diversi aspetti che riusciamo ad individuare, perché l’insieme rappresenta un salto, un qualcosa che non è riconducibile alle singole parti messe insieme.

Dobbiamo dunque partire dalla rete e com-prenderla sia come insieme sia come particolarità interconnesse.

Il poema ariostesco non è lineare, anche se la fine è il frutto di avvenimenti che hanno avuto un inizio, e non è neppure lineare nel senso della “lisca di pesce”: molti testi presentano l’opera come basata sull’amore di Orlando che, dopo essere impazzito, riesce a recuperare il senno. Su questo filo conduttore si svilupperebbero numerosi episodi secondari, alla moda degli entrelacements medievali, intrecci di storie autonome ma in qualche modo legate al filone principale. In realtà se leggiamo lo sviluppo narrativo del poema ci rendiamo conto che è opera vana quella di rintracciare un filo conduttore, serio e reale, come poteva essere il matrimonio di Renzo e Lucia ne I Promessi Sposi.

L’Orlando Furioso sfugge a ogni tentativo di rassicurazione e di riduzione a schemi che ragionano in termini di elemento principale e secondario. Si tratta di una narrazione che potrebbe richiamare l’immagine della spirale con volute ad anelli, nel senso che Angelica e Orlando al di là delle loro distanze e degli eventi casuali escono di scena ben prima della fine. Molte storie, troppe storie costituiscono in modo magmatico la materia che Ariosto decide di sviluppare. Una spirale è l’immagine che aiuta a comprendere come una realtà possa progredire in modo evolutivo: le rotture possono essere ampie ma non interrompono i flussi della continuità. I personaggi sono simboli di eventi e diventano la bandierina di una corsa (un po' come nel gioco dell’oca)  che si sposta in continuazione ma senza dimenticare le sue origini e i passi compiuti in precedenza.



Il Poema è composto di 46 canti.

Ruggiero ad esempio, pagano che si converte al Cristianesimo e che darà origine alla dinastia degli Estensi, è mostrato nella sua importanza fino dai primi canti, scompare e ricompare, è evocato in continuazione e diventa protagonista di numerose avventure delle quali Ariosto si serve per dare sfogo alla sua fantasia. E’ Ruggiero e non Orlando che conclude il Poema con l’uccisione di Rodomonte e il matrimonio con Bradamante.

Angelica inizia alla grande, contesa come è da molti cavalieri; incontra Rinaldo, Ferraù, Sacripante, mentre Orlando va a Parigi alla ricerca dell’amata, viene salvata da Ruggiero, ma Angelica trova un umile fante, ferito, Medoro, lo cura e se ne innamora. Alla fine Angelica porta Medoro nel Catai per farlo succedere al padre. Ritroviamo infine Angelica in Spagna dove riesce a sfuggire a Orlando. Da qui esce di scena.

Astolfo è un altro personaggio curioso e che non può essere sottoposto a un’operazione riduzionistica. Il paladino va in Etiopia, poi all’Inferno, giunge nel Paradiso Terrestre, torna in Etiopia e combatte per tutta l’Africa i pagani, va sulla Luna per restituire il senno ad Orlando, vien trasformato in pianta; lo troviamo poi in Siria, in Francia, in Inghilterra, in Egitto e a sorvolare Africa ed Europa. Astolfo è un personaggio straordinario: ha una lancia d’oro che disarciona i cavalieri, ha un corno che terrorizza i nemici, un libro incantato, ha un ippogrifo, cioè un cavallo alato. Un personaggio prestigioso e un viaggiatore instancabile: parrebbe un alter ego di Ariosto, mentre in realtà è un altro Ariosto (come scrisse Rimbaud: l’IO è un altro).

Nessun percorso lineare dunque, ma un’opera che si propone come qualcosa di complesso, che in questo caso vuol proprio dire non riducibile: nessun tema, nessun topos, nessun elemento per quanto ripetuto può permetterci di dare vita a uno o più schemi. E’ vero che spesso si dice una cosa simile di quasi tutte le opere letterarie, ma nell’Orlando Furioso non è possibile concentrarci su un tema o su un personaggio senza perdere il senso della narrazione. Ariosto, uomo semplice e che “piuttosto che onor voglio quiete”, dà vita a una storia labirintica, una specie di videogioco dei nostri tempi. Nel labirinto possiamo perderci ed è ciò che può succedere se non ci accontentiamo di ridurre l’opera alla trama, al “cosa”: cerchiamo topoi, troviamo schemi e improvvisamente come d’incanto il labirinto scompare e ci ritroviamo immersi nell’anodina vita di tutti i giorni.

Da un punto di vista della complessità personaggi ed eventi sono legati, ma in modo non deterministico e occorrono sempre strumenti nuovi per poter ricostruire una situazione complessa. L’evoluzione verso maggiori livelli di complessità ha visto passaggi tutt’altro che semplici: in campo matematico Euclide ha rappresentato un punto importante che ha retto per la capacità di rispondere alla maggior parte dei quesiti che la vita ci poneva: si trattava di un universo completo e autoreferenziale al quale la filosofia aristotelica seppe dare un grosso contributo. Con la crescita della complessità a tutti i livelli della società, sia pratici sia teorici, nuove domande avevano bisogno di essere prese in considerazione e sempre più quegli strumenti risultavano inadeguati. Galileo introdusse il metodo scientifico determinando una crisi dell’aristotelismo, divenuto ormai qualcosa di fideistico, ma di fatto si pose come il moderno continuatore delle problematiche e dei metodi di Aristotele. Nuove suggestioni, nuove idee, nuove proposte producevano incrinature nell’edificio anche nella fase del suo rinnovamento, ma ebbero difficoltà a imporsi: ne è testimonianza certa il fatto che i nuovi punti di vista per quanto dimostrati e diffusi si scontravano con le migliori menti del tempo, come Einstein rispetto alle conseguenze della teoria quantistica. Il fatto era che non solo l’uomo comune ma anche lo scienziato si facevano portavoce di quel mondo che anno dopo anno, secolo dopo secolo si era consolidato e confermato crescendo su se stesso.

In questo universo chiuso non c’era posto per la letteratura, utile svago e fuga dalla realtà quotidiana. Solo oggi che quell’universo si è frantumato e si comincia a concepire un rapporto tra scienze fisiche e umane di una nuova alleanza, come lo chiama il Premio Nobel Prigogine, solo oggi possiamo recuperare il valore creativo di una parte non limitata della letteratura. Purtroppo abbiamo ancora bisogno di una legittimazione da parte delle scienze fisiche, ma è inevitabile, visto il peso che queste hanno accumulato nel corso degli ultimi secoli.



Tornando all’Orlando Furioso questo aspetto non ha difficoltà ad emergere se siamo capaci di liberarci dei presupposti o pregiudizi con cui si è guardato finora alla letteratura.

Nessun filo conduttore, nessun tema principale, nessuno schema: la storia narrata da Ariosto si presenta come una rete di rete di rete, con i suoi hub e le sue sinapsi. E, come nei sistemi reticolari, ogni parte è allo stesso tempo centro e periferia a seconda del punto di vista con cui ci proiettiamo negli avvenimenti. Il mondo è un insieme di reti di cui noi stessi facciamo parte e con cui dobbiamo continuamente fare i conti in un insieme di relazioni che allo stesso tempo ci influenzano e da cui ci facciamo influenzare.

Le neuroscienze, una delle branche maggiormente sviluppate negli ultimi anni ci hanno fornito un importante contributo.

Da sempre abbiamo separato molti aspetti della vita, credendo che non appartenessero alla nostra esperienza vitale, perché avevamo bisogno di stabilire dei confini: non è un errore ma ora abbiamo compreso che si tratta di un limite.

Abbiamo detto che il sogno è altro dall’esistenza e tutt’al più un riflesso di esperienze vissute; abbiamo creduto che la memoria fosse un insieme di ricordi fissi e archiviati nella mente; abbiamo separato la coscienza dal mondo, la res cogitans dalla res extensa; abbiamo privato la letteratura della sua capacità di azione e di trasformazione; abbiamo estratto dal nostro sapere quanto apparteneva al mondo fisico e lo abbiamo considerato come qualcosa di oggettivo e assoluto; abbiamo considerato il mondo spirituale dipendente da quello materiale e in questo abbiamo creduto vi fossero delle relazioni prioritarie; abbiamo ridotto la religione e il bisogno di vivere oltre la vita a inutili e fastidiose illusioni; abbiamo esaltato la pace per liberarci di quella componente guerresca che, a diversi livelli, ci forma e ci conforma; abbiamo inventato la società per non fare i conti con noi stessi. Da quando Petrarca aveva scritto l’invettiva contro un medico e il libro sull’ignoranza di se stesso e di molti i tempi erano cambiati: l’interesse per la persona era stato sostituito dallo studio del mondo, grazie alle scienze aristoteliche che avevano la pretesa di coprire tutti gli aspetti del reale.



Ariosto aveva un rapporto molto particolare con quel mondo tanto che la sua vita è sempre ricordata per una certa pigrizia che lo portò varie volte a collidere con i suoi mecenati; solo una volta accettò l’ordine degli Estensi, di andare a governare la Garfagnana, nonostante fosse un luogo selvaggio e privo di attrazione. Nelle Satire svelò quelle che erano le sue attitudini e verso quali orizzonti intendeva muoversi.

Una breve digressione ci aiuta a capire non solo cosa vivesse ma come vivesse e non tanto per curiosità ma per stabilire connessioni col discorso che sto sviluppando. Vediamo.



Nella Satira I spiega le ragioni che lo hanno portato a rifiutare l’invito del Cardinale Ippolito d’Este a seguirlo in Ungheria.

Prima la vita, a cui poche o nessuna/cosa ho da preferir, che far più breve/non voglio che ’l ciel voglia o la Fortuna.

Oltra che ’l dicano essi, io meglio i miei/casi de ogni altro intendo; e quai compensi/mi siano utili so, so quai son rei.

Il freddo del clima, il caldo delle stufe, il cibo troppo speziato, il bere vino forte, vapori che lo farebbero ammalare.

più tosto che arricchir, voglio quïete: più tosto che occuparmi in altra cura, sì che inondar lasci il mio studio a Lete.  Il qual, se al corpo non può dar pastura, lo dà alla mente con sì nobil ésca, che merta di non star senza cultura.



Quiete non ricchezza; studio non azione; né povertà né ricchezza. Fuori dai giochi di corte e dai servigi da dover richiedere o da dover fare. Vivere in casa propria senza render conto a nessuno. Dignità.

Fa che la povertà meno m'incresca, e fa che la ricchezza sì non ami che di mia libertà per suo amor esca; 

quel ch'io non spero aver, fa ch'io non brami, che né sdegno né invidia me consumi perché Marone o Celio il signor chiami;  ch'io non aspetto a mezza estade i lumi per esser col signor veduto a cena, ch'io non lascio accecarmi in questi fumi; ch'io vado solo e a piedi ove mi mena il mio bisogno, e quando io vo a cavallo, le bisaccie gli attacco su la schiena. E credo che sia questo minor fallo che di farmi pagar, s'io raccomando al principe la causa d'un vasallo; 

o mover liti in benefici, quando ragion non v'abbia, e facciami i pievani ad offerir pension venir pregando. 

Anco fa che al ciel levo ambe le mani, ch'abito in casa mia commodamente, voglia tra cittadini o tra villani; e che nei ben paterni il rimanente del viver mio, senza imparar nova arte, posso, e senza rossor, far, di mia gente.



La conclusione è una breve favola: un asino magro vede un pertugio che porta in una stanza piena di cibo, vi entra e mangia a più non posso; solo che è talmente grasso che non passa dal pertugio, cosa che può fare solo tornando magro vomitando tutto ciò che ha mangiato:

Or, conchiudendo, dico che, se 'l sacro Cardinal comperato avermi stima con li suoi doni, non mi è acerbo et acro renderli, e tòr la libertà mia prima.



L’argomento è ripreso nella Satira III.

Contrariamente al pensiero comune Ariosto considera servitù lo stare a corte. D’altra parte non tutti sono eguali:

…Non si adatta una sella o un basto solo  ad ogni dosso; ad un non par che l'abbia, all'altro stringe e preme e gli dà duolo. Mal può durar il rosignuolo in gabbia, più vi sta il gardelino, e più il fanello; la rondine in un dì vi mor di rabbia. Chi brama onor di sprone o di capello, serva re, duca, cardinale o papa; io no, che poco curo questo e quello. In casa mia mi sa meglio una rapa ch'io cuoca, e cotta s'un stecco me inforco e mondo, e spargo poi di acetto e sapa, che all'altrui mensa tordo, starna o porco selvaggio; e così sotto una vil coltre, come di seta o d'oro, ben mi corco. E più mi piace di posar le poltre membra, che di vantarle che alli Sciti sien state, agli Indi, alli Etiopi, et oltre.

I desideri degli uomini sono tanti e diversi. Chi vuole viaggiare viaggi, lui ha visto abbastanza.

Degli uomini son varii li appetiti: a chi piace la chierca, a chi la spada, a chi la patria, a chi li strani liti.  Chi vuole andare a torno, a torno vada: vegga Inghelterra, Ongheria, Francia e Spagna; a me piace abitar la mia contrada. Visto ho Toscana, Lombardia, Romagna, quel monte che divide e quel che serra  Italia, e un mare e l'altro che la bagna.

L’atlante gli permetterà di vedere il resto del mondo senza paura né pericolo.

Questo mi basta; il resto de la terra, senza mai pagar l'oste, andrò cercando con Ptolomeo, sia il mondo in pace o in guerra; e tutto il mar, senza far voti quando  lampeggi il ciel, sicuro in su le carte verrò, più che sui legni, volteggiando. Il servigio del Duca, da ogni parte che ci sia buona, più mi piace in questa: che dal nido natio raro si parte.  Per questo i studi miei poco molesta, né mi toglie onde mai tutto partire non posso, perché il cor sempre ci resta.



Dunque ancora una volta gli studi, la libertà degli studi, il senso dei limiti e delle possibilità di un intellettuale che gode di una situazione politica e culturale straordinaria che vede la grande stagione umanistico-rinascimentale all’apogeo.

Si può ironizzare su quest’uomo che preferisce rimanere appartato per potersi dedicare agli studi e all’attività poetica; si è fatto spesso di contrapporre l’uomo al poeta, un uomo lontanissimo dal mito dell’impegno e dell’eroe e un poeta grandissimo. In questa operazione si è creato nuovamente il baratro tra letteratura e vita, continuando a fare della prima uno strumento importante di evasione, baratro che si nutrirà sempre di più procedendo a una sempre maggiore separazione tra poesia (e letteratura in generale) e vita. Tralascio il dibattito teorico che avrà nel 1900 punte significative ed esperienze incredibili come quella del realismo socialista e mi concentro su quanto percepito dal pubblico, cioè dal lettore medio.



Non c’è dubbio che per la maggior parte delle persone lo studio della letteratura a scuola ha assunto il significato di acquisizione di maggior cultura generale, paragonabile alla conoscenza della geografia e della storia, utile soprattutto per vincere una disputa in famiglia o guadagnare qualche soldo nei programmi televisivi. Con queste premesse le persone, una volta divenute adulte, è già tanto che aprano qualche libro, ma per fortuna lo fanno; solo che serve come passatempo o godimento estetico (avventura, amore, sesso, compassione, grazie anche alla diffusione del tema “disabilità”).

Tutto dunque eccetto di vedere la letteratura come qualcosa che è (ed è stata) capace di creare vita: la vita dell’autore e la vita del lettore.



Torniamo ad Ariosto e alla descrizione della sua vita fatta nelle Satire in rapporto alla sua creazione poetica, l’Orlando Furioso.

La sua vita appartata gli ha permesso di portare la sua fantasia alle estreme conseguenze e la sua produzione fantastica ha permesso di nutrire la sua esistenza e il senso che ha voluto dare alla sua vita.

Cosa c’entrano in tutto questo le neuroscienze?

Nonostante i numerosi dibattiti sul rapporto tra Io e Mondo, tra Soggetto e Oggetto, tra Conoscenza e Interpretazione, tra Spirito e Materia, tra Realtà e Noumeno, tra Necessità e Libertà è solo grazie agli sviluppi delle neuroscienze realizzati nel nuovo millennio che si è arrivati a un punto di non ritorno. Si tratta di acquisizioni non esaustive, da cui ripartire e di cui occorre tener conto, senza le quali la spirale diventa un boomerang.

Un aspetto importante è stato riconoscere come la struttura del cervello si fa emblematica della struttura del reale, attraverso neuroni e sinapsi che hanno prodotto analogie scientifiche a tutti i livelli, dalla matematica alla sociologia agli studi interdisciplinari.

Più importante è senz’altro riconoscere come specifico, naturale, necessario, essenziale attributo e prodotto del cervello umano tutto quel materiale che per secoli è stato espunto dall’esperienza umana come qualcosa di inadeguato, limitativo o addirittura sbagliato.

La religione appartiene al cervello ed è dunque elemento inerente all’essere umano.

Aspetti della religione come la transustanziazione non sono allucinazioni, ma prodotti naturali dell’attività cerebrale.

La metafora non è semplicemente un artificio retorico, ma un modo regolare e regolarmente usato con cui il cervello si attiva.

La memoria non è un archivio stabile, ma un processo continuo di rimodulazione e trasformazione.

Il materiale prodotto dalle neuroscienze, naturalmente, non si riduce a questi quattro esempi, ma questi sono facilmente accessibili e com-prensibili e ci permettono di avere una visione dell’Orlando Furioso diversa da quelle tradizionali, una visione e dei percorsi che ci riguardano direttamente.



L’Orlando Furioso è un labirinto umano di tipo reticolare nel quale si attiva e si riproduce la caratteristica essenza del cervello umano. La fantasia di cui Ariosto permea tutto il Poema è materiale reale e ci obbliga ad apprezzarne la tessitura; è grazie a quello tsunami di fantasia che possiamo entrare nell’universo poetico di Ariosto, ma soprattutto possiamo cominciare a comprendere e valorizzare la fantasia come attività reale della persona. Alla stessa stregua del sogno, che non è cosa altra rispetto alla vita da svegli, la fantasia non è qualcosa che non ha a che fare con la realtà. Al contrario, come il sogno è un passaggio importante per cercare di capire il nostro essere, la fantasia è uno strumento che ci aiuta a fare i conti con noi stessi. E non per le capacità predittive che essa può avere: pensiamo a Verne o alle opere che riguardano il viaggio nello spazio.

La fantasia è una componente reale di quel reticolo vasto e complesso che caratterizza l’esistenza umana.

La pazzia di Orlando non può essere ridotta al “cosa”, alla sofferenza fino alla follia che il mal d’amore può generare, ma va letta per il “come”, le manifestazioni con cui essa si esprime, dalla grotta alla camera del pastore fino alle mirabolanti gesta nelle campagne circostanti. Sono aspetti dell’esistenza che Ariosto ha portato alla luce e grazie ai quali ci è offerta una possibilità in più di fare i conti con noi stessi, con le nostre parole, con i nostri pensieri, con le nostre azioni.

Tutti quegli aspetti che ad una lettura superficiale appaiono poco realistici parlano a noi e soprattutto parlano di noi: l’Ippogrifo (cavallo alato), l’isola della fata Alcina con rocce e piante parlanti, il palazzo di Atlante con i suoi specchi e le sue allucinazioni, il libro di Logistilla, l’anello magico di Melissa, le ampolle con il senno perduto in Terra, i cavalli le spade le lance e tant’altro.

Anche gli spostamenti tra i luoghi sono prodotto della fantasia, non solo per i mezzi usati, ma per l’intensità geografica che permette ad Ariosto di procedere come meglio crede, ma sempre sulle tracce, come ha scritto nella Satira III, di Tolomeo. In questo senso è proprio l’Atlante la fonte più affidabile dell’opera: i luoghi sono infatti quasi sempre  geograficamente determinati e coprono l’orbe terracqueo, dando conferma che quanto può sembrare assurdo, paradossale o iperbolico si muove dentro i confini del mondo che conosciamo.



Interrogazione di Letteratura. Numero 1.

Prof. 1: Parlami dell’Orlando Furioso.

Studente 1: 1516…Boiardo…Armonia…Ironia…46 Canti…Ottave…Personaggi.





Interrogazione di Letteratura. Numero 2

Prof. 2: Come può essere letto l’Orlando Furioso dal punto di vista della Scienza contemporanea?

Studente 2: Fine determinismo e leggi universali…neuroscienze…complessità della realtà…Realtà della fantasia (esempi)…Complessità dei personaggi (esempi).





CONCLUSIONI:



Lo studente 1 ha mostrato buone conoscenze dell’opera e la cosa non cambierebbe se gli venisse chiesto ad es. un confronto con l’epica medievale.

Lo studente 2 ha mostrato buone conoscenze epistemologiche.

A questo livello si tratta di aver acquisito conoscenze che mettono i due studenti sullo stesso piano, sebbene quelle conoscenze siano diverse.

Ma c’è una differenza qualitativa: le conoscenze dello studente 1 sono chiuse, circolari, gli forniscono un sapere maggiore; le conoscenze dello studente 2 sono invece aperte, gli forniscono elementi che gli permettono collegamenti in tutte le direzioni, dalla chimica alla fisica alle scienze alla matematica alla storia, oltre che ad altre letterature. Lo studente 2 comincia a comprendere il carattere complesso del mondo e della persona, carattere che può ritrovare in ogni campo; si accorge che, nonostante il pensiero comune, le cose funzionano in maniera più articolata e profonda e riceve lo stimolo a guardare sempre più oltre la superficie e a non accontentarsi di stereotipi e luoghi comuni, per quanto diffusi e condivisi essi siano.

Probabilmente lo Studente 2 avrà minori conoscenze dell’altro, ma ciò che conta oggi non sono le conoscenze in sé, ma la capacità di organizzarle e svilupparle; per fare questo risulta decisivo il metodo e il dialogo con le più recenti acquisizioni scientifiche.

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