Giovanni
Boccaccio
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La
molteplicità del reale
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Anche se
Boccaccio è un vero intellettuale e un artista poliedrico, avendo scritto opere
in latino e in versi, rimane essenzialmente l’autore del Decamerone, opera in
volgare e in prosa di carattere narrativo. Non si tratta di ridurne la portata
e il valore, ma di leggerlo all’interno della prospettiva di questi articoli.
Non c’è dubbio che, con Petrarca, Boccaccio sia stato uno dei precursori
dell’Umanesimo e che alcuni poemi abbiano saputo favorire lo sviluppo della
letteratura successiva. A me interessa però solo il Decamerone perché è
un’opera che rientra in qualche modo nei parametri della complessità. Si tratta
di una complessità diversa da quella di Petrarca e anche Dante, ma in
quell’opera troviamo caratteri che ci permettono di andare più in profondità:
per sintetizzare chiamo la prima complessità verticale e questa complessità
orizzontale. La prima non disdegna la rete sociale, ma si concentra sulle
dinamiche individuali, sviscerandone gli aspetti dal basso verso l’alto e
viceversa; la seconda si concentra sullo sviluppo della rete sociale, non
trascurando un’epifania individuale, ma limitandosi ad accennarla. A me pare
più interessante il primo tipo di complessità,
ma non posso
negare importanza alla seconda. In questo senso la complessità di Boccaccio è
minore, ma non cessa di essere tale, purché si eviti di costringerla nei
parametri storici e geografici. Ho detto costringerla in essi, non negarli.
Mi sono
spesso chiesto perché fosse necessario stabilire un legame tra gli autori e le
donne da loro amate; si sente dire frequentemente, anche nelle aule di scuola,
che come Dante amò Beatrice e Petrarca amò Laura, così Boccaccio amò Fiammetta.
Nei miei primi anni di insegnamento anche io ho fatto questa affermazione senza
chiedermi quale fosse il senso; poi quando ho cominciato a ricercare il senso
di tutto ciò che mi riguardava, e di cui soprattutto ero protagonista, allora
ho smesso di parlarne. Si tratta di una somiglianza che vale per tutti e per
nessuno. Il confronto è quanto mai poco opportuno per il carattere tradizionale
del personaggio, concreto e sensuale, ma soprattutto perché rimane in quella
visione comune del rapporto uomo-donna che non dialoga con quanto emerge da
Dante e Petrarca. In una delle migliori opere minori di Boccaccio, il Filocolo,
addirittura Fiammetta espone la teoria amorosa individuando tre tipologie
differenti: amore onesto, per diletto e per utilità. In questo senso nulla di
nuovo: nel primo caso è il punto di riferimento istituzionale che contempla
fedeltà e matrimonio, nel secondo si fa riferimento all’amore cortese e nel
terzo invece la base è il vantaggio economico. Boccaccio fu grande lettore dei
classici romani e i suoi riferimenti sono gli stessi, insieme alla nascente
letteratura di corte a cui si ispirò in diverse opere: in tutti questi casi non
c’è quel salto che abbiamo visto in Dante e Petrarca. Verso la fine del
Novecento si è riscoperto Boccaccio per il fatto che molte storie si muovono in
relazioni fortemente erotiche, ma questo slancio fu solo il frutto di una
riscoperta dell’eros troppo spesso limitato o censurato e che accompagnò i
giovani dagli anni ’60 in poi (sex, drug and rock&roll). In effetti fu a
partire dalla Controriforma che fu coniato il termine boccaccesco o
boccaccevole per indicare qualcosa di licenzioso e volgare, termine che è
rimasto ancora oggi nel linguaggio seppur con toni meno negativi.
Tutto questo
per confermare l’interesse esclusivo per il Decamerone. Vediamo in che senso.
Quali sono gli elementi della scienza della complessità che possiamo riscoprire
in questa grande opera narrativa? Ho già detto che la complessità letteraria
esprime una dimensione verticale e una orizzontale e a quest’ultima appartiene
il Decamerone.
Una
caratteristica dei sistemi complessi è che il tutto è maggiore della somma
delle parti e questo ci permette di avvicinarci all’opera in maniera nuova.
Innanzitutto risolve il problema annoso della cornice che per tanto tempo ha
visto contrapposte due fazioni: quella classica che considerava la cornice solo
come un puntello narrativo ai diversi racconti e quella moderna che invece ne
rivaluta la funzione integrandola nell’insieme di storie con le quali si
integra.
Non c’è
dubbio che il Decamerone va visto come un tutto unico, con una cornice che
rinvia alle novelle e le novelle, anzi ogni novella, che rinviano alla cornice:
un sistema reticolare di cui dobbiamo ringraziare Boccaccio. Il fatto che dobbiamo
considerare il Decamerone come un sistema complesso, unitario e composto di
parti tessute insieme, fa sì che emergano aspetti importanti. Il primo riguarda
il fatto che l’approccio comune per temi ne comprima la complessità. Come sanno
tutti coloro che sono passati per quest’opera, studenti o docenti, un modo per
affrontare l’argomento è quello di individuarne i temi principali, cari allo
scrittore.
E’ vero che
ogni giornata ha un tema prefissato, ma è vero anche che Boccaccio scompagina
questo ordine imposto e procede in modo molto libero, trattando argomenti
diversi da quelli previsti e concedendo piena libertà sempre ad uno dei
giovani, Dioneo. Era già successo a Dante, per cui la premessa enciclopedica
che aveva imposto lo schema basato sul numero 3 (terzine, tre cantiche, 33
canti per cantica) e sul numero 10 (i luoghi, i 100 Canti) di fatto non gli
impedì di procedere in profondità e imponendo un salto di qualità. Succede ora
a Boccaccio che, pur dovendo (per tempi e per cultura) rispettare certe regole,
non può non infrangerle perché non può esservi creazione senza libertà. Ancora
una volta non è un fatto estetico, ma poietico.
In genere
vengono individuati due temi principali, l’amore e la fortuna. Per quanto
riguarda il primo tema, nonostante numerose siano le situazioni presentate e
narrate, alla fine il lettore, su indicazione del critico, tende a privilegiare
la dimensione erotica. Nel secondo caso la parola “Fortuna” dal latino
“sors-sorte” non indica cose positive, perché proprio per l’etimologia la
“fortuna” può essere “bona o mala”, buona o cattiva. Dunque il termine sta a
indicare qualcosa che sfugge alla nostra volontà e che possiamo tradurre con
“Caso”.
Per entrambi
i temi si procede con una analisi in dettaglio delle singole situazioni, ma si
perde di vista l’insieme, preferendo accedere a una certezza se pur limitata,
frutto di un processo riduttivo e di approssimazione, a una incertezza che
risulta invece essere intrinseca all’esistenza dell’uomo, come ci suggerisce
oggi la scienza della complessità.
In questa
ottica di complessità noi possiamo approfittare di ciò che ci viene offerto. La
ricostruzione storica, sociale, economica non è inutile, ma ci impedisce di
cogliere la straordinaria ricchezza delle situazioni e dei personaggi. Non c’è
dubbio che la prosa del Decamerone abbia come oggetto la realtà, da cui il
termine “realista” che cerca di descrivere i contenuti del racconto. Eppure
quel termine, come la sua antitesi “idealista” con cui si affrontano opere come
“L’Orlando furioso”, risulta oggi fuorviante. Ancora una volta è il processo di
approssimazione che, come nel caso dei triangoli, ci ha aiutato a schematizzare
la realtà e a potersi avvicinare, ma che oggi non è più in grado di venire
incontro alla nostra esigenza di conoscenza e di creazione. E come ricorda
Stoppard in Arcadia “Le montagne non sono triangoli”, per cui nascono
nuovi strumenti e nuove discipline, come ad esempio i frattali; allo stesso
modo dobbiamo evitare la tentazione che ha coinvolto anche noi insegnanti di
proporre una visione esaustiva ma approssimativa. Definire il Decamerone
realista ci fa perdere molti particolari e semplifica ciò che invece è
complesso, anzi credo che nella letteratura di tipo narrativo non esista opera
più complessa del Decamerone.
Se partiamo
dalle acquisizioni recenti delle neuroscienze ci rendiamo conto della portata
del Decamerone: ad esempio appare sempre più evidente che un ruolo decisivo
nella formazione della persona e nella sua complessità derivi dallo “schema
delle connessioni tra i neuroni e dalla forza delle sinapsi che costituiscono
tali connessioni.” Le rappresentazioni della mente che sono espressione
dell’attività neuronale sono molteplici, si muovono in diverse direzioni, sono
di diversa entità e trovano una loro legittimità nella storia personale,
sociale e cronologica di ogni persona. Non esiste aspetto proposto da un essere
umano che non sia il frutto della storia dell’umanità: la violenza domestica
non è un’aberrazione, ma un comportamento che appartiene alla storia
dell’umanità, che società più complesse hanno cercato di limitare attraverso
messaggi etici e iniziative giuridiche. Da un lato sono più complesse quelle
società che non riducono il pensiero alla ripetizione di sure o di rosari;
dall’altro lato la stessa sorte coinvolge anche le società che hanno espunto
(non necessariamente criminalizzandolo) l’universo religioso.
Se prendiamo
come punto di riferimento questa (parziale, molto parziale) prospettiva allora
dobbiamo avere la capacità di guardare con particolare cura, attenzione e
interesse quella letteratura che risulta espressione di questa ricchezza e
complessità di relazioni. Se in molti, soprattutto poeti, questa intensità e
complessità riguarda la dimensione interiore (verticale), in altri, soprattutto
narratori, tale intensità e complessità si muove sul terreno delle relazioni
collettive (orizzontale).
La ricerca di
leggi universali ripresa dal metodo scientifico del Seicento e lo storicismo
degli ultimi duecento anni hanno spinto in una direzione. Ciò ha comportato ad
esempio il bisogno riduzionistico e deterministico per classificare l’opera
letteraria. Una di queste categorie, come ho scritto sopra, è il Realismo.
Vediamolo più in dettaglio nell’opera di Boccaccio, ma partendo da presupposti
più ampi. Si legge di un realismo naturalista, quello di Zola, poi abbiamo il
realismo verista di Verga, il realismo storico di Manzoni, il realismo magico
di Pavese o di Marquez, e, come di norma nel campo della riflessione
letteraria, molti altri -ismi e anche realismi: definizioni che pretendono
creare ipotetiche leggi universali per catalogare le opere sempre più numerose.
Si tratta di un esercizio scolastico, nel senso che può essere utile a scuola per
avvicinare gli studenti al mondo della storia letteraria. Certo è molto più
facile studiare un triangolo che un frattale, anche se non è così certo come
sembrerebbe a prima vista: è più facile per me, ma non sono sicuro che lo sia
per i millennial. Mi fermo qui perché non è questa la sede per discutere di
apprendimento. Comunque, poiché a scuola si continua a studiare per categorie, in
questi miei post cerco di aprire una nuova prospettiva. Dunque, dicevamo,
realismo. Per evitare dispersioni inutili diciamo che si può considerare
realista un’opera letteraria che ha riferimenti storici e geografici
determinati, uno spazio e un tempo riconoscibili. E’ dunque Boccaccio realista?
La risposta è sì e no. Vediamo alcuni esempi.
1)Andreuccio
da Perugia è una novella abbastanza famosa, inserita in tutte le antologie
scolastiche. E’ ambientata a Napoli, città che viene descritta in modo talmente
minuzioso che un filosofo vi ha riconosciuto la topografia reale di vie,
chiese, piazze e piazzette. Protagonista è un mercante di cavalli, figura
significativa nel panorama socio-economico del basso medioevo e le persone che
incontra sono credibili nel senso che si muovono e parlano come i loro
corrispettivi: la voce dell’autore si limita a narrare una storia che potrebbe
essere veramente accaduta. La novella è interessante anche perché si tratta di
una novella di formazione: l’ingenuo Andreuccio ha imparato la lezione e il
principio di realtà, tornando a casa finalmente maturato e cresciuto da giovane
ad adulto.
Dunque direi
che si tratta di realismo canonico sotto tutti i punti di vista.
2)Calandrino
e l’elitropia. Anche questa è una novella molto famosa e presente nella
cultura scolastica. Questa è ambientata a Firenze, che Boccaccio conosceva bene
come Napoli avendo vissuto in entrambe. Anche qui i riferimenti topografici e
toponomastici sono perfetti: abbiamo via San Gallo, Porta San Gallo (oggi in
Piazza della Libertà), la Chiesa di San Giovanni, il Mugnone, il Canto alla
Macina (tra via San Gallo e via Guelfa), le colline di Settignano e Montici, il
Monte Morello. Gli stessi personaggi risultano storicamente determinati,
soprattutto per l’attività pittorica, così che Bruno, Maso del Saggio e soprattutto
Buffalmacco, secondo ricerche specialistiche corrisponderebbero a importanti
artisti del tempo attivi in tutta la Toscana. Anche Calandrino è stato
riconosciuto come pittore di una certa notorietà.
In questo
quadro di significativi riferimenti a persone e luoghi conosciuti da Boccaccio
si muove una storia che non è solo una beffa, perché risulta abbastanza poco
credibile in termini realistici. Certo, persone semplici se non veri e propri
idioti continuano ad esistere e non si può tirare in ballo la cultura medievale
per giustificare la violenza di Calandrino sulla moglie Tessa, operata con la
scusa che è colpa sua (in quanto donna) se lui ha perso l’invisibilità. Un
pittore nella Firenze del 1300 difficilmente pensa e parla come Calandrino. Non
è solo la pretesa di poter diventare invisibili, ma anche il credere a quei
luoghi inventati dove avvengono cose veramente prodigiose (fare esempi). Si
tratta dunque di una novella che su uno sfondo intimamente realista gioca molto
con l’invenzione, anche se questa non è frutto di fantasia o di fantascienza,
bensì di una mente che presenta grossi problemi.
3)Nastagio
degli Onesti. Qui la fantasia la fa da padrone e la storia appare molto
moderna, con una visione drammatica che produce effetti sulla realtà vissuta.
La dimensione onirica senza sogno fa sì che la storia si muova in una
prospettiva del tutto surreale. E come tale fu apprezzata tanto da diventare
una serie di pitture che i Medici ordinarono a Botticelli. D’altra parte anche
in questa novella non manca il cosiddetto realismo, in quanto si parla della
città di Ravenna, delle pinete che la circondano e in particolare quella di
Classe, si citano due note famiglie nobili, gli Onesti e i Traversari, ma è anche
qui solo un elemento di contorno, una piccola cornice senza la quale sarebbe
stato difficile per il lettore fare il passo dalla realtà al fantasma. La scena
che si ripete ogni venerdì, una scena orrenda e degna dei moderni crime
seriali, compare quasi dal nulla: essa appare e scompare, per riapparire e
scomparire. Una scena teatrale degna di “Sei personaggi in cerca d’autore” dove
emergono dubbi e verità, ma Boccaccio è troppo giovane per essere Pirandello e
dunque la sua storia deve avere una conclusione “reale”. La donna finalmente
(alla fine) trasforma il suo rifiuto in amore e sulla stessa strada si muovono
anche le altre donne di Ravenna.
Non starò a
presentare altre novelle. Queste tre sono esemplari, nel senso che ci mostrano
le diverse attitudini e attenzioni dello scrittore, che vanno ben oltre lo
schema che gli deriva dall’etichetta realista. Non c’è dubbio che in ogni
novella, nessuna esclusa, ci vengono fornite informazioni sulla realtà, storica
geografica personale di costume, grazie alle quali ci facciamo un’idea di cosa
volesse significare vivere nel 1300 italiano. Non è però importante questo
aspetto.
Se noi
concepiamo l’opera come una rete allora ci accorgiamo che si tratta di una rete
di rete di rete in cui ogni storia mantiene fili di collegamento fino ad
avvolgere il complesso del reale. Né olismo né particolarismo. Il Decamerone è
la prima opera letteraria che riesce a fotografare la realtà attraverso le
parole, senza perdere l’orientamento e riuscendo a parlare contemporaneamente
del singolo albero, dell’insieme di alberi e della foresta. Quando dico che “le
montagne non sono triangoli” non intendo svalorizzare il triangolo, una
figura geometrica fondamentale, ma voglio dire che la realtà vista sotto forma
di triangoli, quadrati, piramidi, sfere etc. permette solo di vederla alterata,
parziale e superficiale. Molti frattali se li guardiamo bene rinviano a dei
triangoli, ma il frattale è molto più capace di farci conoscere la realtà, meno
alterata meno parziale meno superficiale.
Penso che
questa similitudine aiuti a capire come l’opera di Boccaccio debba essere vista
non come la somma di tanti aspetti, in sé giusti, che la critica ha
evidenziato: il realismo, la prospettiva etica, la società mercantile, l’amore
e l’eros, la fortuna, l’ispirazione carnevalesca e tanti altri. Il Decamerone è
il primo trattato letterario-scientifico che riesce a fornirci una specie di
fotografia della realtà nella sua complessità. Se vogliamo uscire dalla
dimensione estetica dell’opera d’arte e farne un punto di riferimento per la
costruzione della nostra persona, dobbiamo entrare nel testo, farsi permeare
dalla sua anima che sono le parole, viverle pienamente e poi metabolizzarle.
Oggi che viviamo l’esperienza del Covid-19 va di moda citare gli autori che
hanno affrontato situazioni molto simili e il più gettonato è stato Manzoni e
la peste di cui parla nel 1600. Ciò è avvenuto probabilmente perché è un autore
moderno e anche la sua lingua è molto più comprensibile. Eppure Boccaccio ha
costruito nella Prima giornata un racconto della peste del 1348 con la lente
dello scienziato che non si sottrae a nessun aspetto che gli strumenti del
tempo gli forniscono.
In quelle
pagine, spesso difficili sia per il periodare molto lungo sia per il lessico
poco comune, troviamo una descrizione estremamente puntuale e molto puntigliosa
di quella che è la realtà della peste. Vi troviamo esposte le possibili cause,
vi troviamo crudamente evidenziate le lesioni e tutti gli effetti fisici dei
colpiti, vi troviamo le reazioni psicologiche differenti, vi troviamo
attitudini che emergono alla luce mostrando quanto la morale diffusa a tutti i
venti non ce la faccia contro quanto accumulato dentro, vi troviamo gli effetti
devastanti che il morbo ha prodotto sulla società, effetti che la gente del
tempo non era in grado neppure di immaginare. Ma l’importante non è tanto il
contenuto quanto la complessità che permette a Boccaccio di portare alla luce
tutto e il contrario di tutto, non per evitare di assumersi delle responsabilità,
ma perché la complessità è un punto di arrivo non un punto di partenza. Il
punto di partenza è fare i conti con ciò che siamo e per fare i conti con ciò
che siamo occorre portare alla luce tutto quello che esprimiamo e ci
caratterizza. E’ come entrare in un fiocco di neve o nella costa della
Cornovaglia e scoprire la loro dimensione frattale: senza entrarci dentro e
osservando solo dall’esterno non scopriremmo mai i frattali. Naturalmente non
sto dicendo che Boccaccio aveva scoperto con sei secoli d’anticipo i frattali,
sto solo invitando a una lettura diversa da quella solita.
Spesso le
novelle di Boccaccio fanno sorridere entrando di diritto nel comico, ma proprio
per questo non possiamo leggerle senza quel filtro fondamentale che è
l’avvertimento-sentimento del contrario come elaborato da Pirandello. In questo
senso l’opera dello scrittore rimane viva ancora oggi, pur essendo in genere
più sul piano dell’avvertimento rispetto al sentimento.
La prima
novella in assoluto esalta proprio questa dimensione del contrario: Ser
Cepparello un uomo molto vizioso diventa Santo, San Ciappelletto, approfittando
della capacità di mentire e dell’ingenuità di un santo frate.
Chichibio riesce
ad evitare la condanna, inventando una situazione poco credibile per nascondere
di aver fatto mangiare a un’amica la coscia di una gru servita al Signore: viene perdonato per aver dato vita ad una
bugia simpatica.
Va detto però
che Boccaccio non si ferma al comico e molte sono le novelle in cui il lato
drammatico dell’esistenza umana viene portato alla luce.
Chi non
conosce il dramma di Lisabetta da Messina innamorata di un garzone dei fratelli?
Questi uccidono Lorenzo che le appare in sogno e le spiega che è stato
assassinato. Poi mostra dove è stato sepolto così che lei si porta a casa la
testa, la sotterra in un vaso sotto una pianta di basilico che nutre con le
lacrime. Impazzisce e muore non avendo smesso di piangere.
E il dramma
della Moglie di Guglielmo Rossiglione, costretta, senza saperlo, a mangiare il
cuore dell’amante: si getta dalla finestra e ”non solo morì ma tutta si
disfece”.
E nella
novella di Bernabò Lomellin da Genova, tutto finisce bene per lui e la moglie,
ma il mercante Ambrogiuolo da Piacenza, autore di una vera e propria beffa ai
suoi danni, viene cosparso di miele, legato a un palo e lasciato agli insetti
nel deserto africano.
E la macabra
storia di Ghismunda e Guiscardo, amanti di nascosto dal padre di lei: il padre
uccide l’amante e invia in una coppa d’oro il
cuore dell’amante che la fanciulla baciò più volte. La fanciulla beve un veleno
e si suicida.
La salvia avvelenata che uccide Simona e Pasquino,
l’omicidio della figlia del re di Tunisi e dell’amato Gerbino, le morti di
dolore di Girolamo e Salvestra e altre ancora.
Eros e morte,
verrebbe subito da dire; ma sbaglieremmo, perché la palette è talmente ampia
che non è riconducibile a un’idea prefissata dello scrittore. Boccaccio vive il
suo tempo, non anticipa nulla, se non gli Studia humanitatis e dunque
l’Umanesimo, ma soprattutto, pur nei canoni dello spazio e del tempo in cui si
trovò, non ebbe un messaggio da inviare né ai suoi contemporanei né ai posteri.
Insistere come spesso si fa su un’idea prestabilita, cioè una ideologia,
significa imporre allo scrittore ciò che è nella nostra mente. Come tutti anche
Boccaccio ebbe delle predilezioni, umane e culturali, in sostanza sempre
rispettose e conformiste, sopravvisse ai conflitti cittadini del tempo,
ricevette incarichi pubblici e prese i voti di chierico, cioè poteva curare le
anime ed esercitare il sacerdozio.
Nelle sue
novelle troviamo l’eros in svariate forme e la morte in numerose
manifestazioni: bisogna imparare a convivere con questa nebulosa di situazioni
e ne snatureremmo il senso se cercassimo di ricondurle, attraverso un’opera
riduzionistica, ad alcuni principi generali che diventerebbero delle vere e
proprie leggi.
Prendiamo
atto della molteplicità del reale e della sua irriducibilità: è in fondo quanto
ha portato alla luce il pensiero complesso che ha riscoperto il ritorno
dell’evento, come evidenziato da Edgar Morin che lo riconosce come una delle
più significative conquiste epistemologiche degli ultimi anni:
“Non esiste scienza del
singolare, non esiste scienza dell’evento: è uno dei principi più sicuri di una
vulgata teorica ancora dominante. L’evento fu perseguitato nella misura in cui
fu identificato con la singolarità, la contingenza, l’accidente,
l’irriducibilità, il vissuto. Fu perseguitato non solo nelle scienze
fisico-chimiche, ma anche nella sociologia…Tende persino a essere perseguitato
nella storia…”
Abbiamo
n-eros, n-thanatos, così come il mondo della borghesia è fatto a pezzi quasi
come un’opera cubista: molte sono le tipologie di borghesi, onesti disonesti
semplici lavoratori affaristi; essi si muovono ovunque ci sia la possibilità di
portare avanti il loro mestiere: a Firenze, a Perugia, a Napoli, a Parigi, in
Oriente, in Africa, in Spagna. Ci sono borghesi come ci sono nobili, garzoni
come paggi. Uomini e donne. Le donne sono spesso vittime, ma sono anche
presentate come persone autonome, soprattutto nell’attività erotica e gli
uomini lo sanno; sono audaci, sottomesse, ribelli, ardenti, traditrici, semplici,
sofisticate, ingenue: sono come gli uomini (“Elissa: Gli uomini sono delle
femine capo”). Non si prenda la dichiarazione di Filomena nella parte che
precede la prima novella come una dichiarazione di fede dello stesso autore; Filomena
sottolinea la debolezza delle donne rispetto agli uomini: “Noi siamo mobili,
ritrose, sospettose, pusillanime e paurose”. E’ uno dei tanti punti di
vista che sono presenti nel Decamerone, che ha valore come tutti gli altri,
perché la realtà non è monolitica né tanto meno riducibile a schemi e categorie
che, troppo spesso, esprimono una visione anacronistica di chi li propone.
Qui sta la
differenza tra opere ispirate a un’ideologia e l’analisi dettagliata che
troviamo nel Decamerone: uomini e donne sono come li vedeva Boccaccio, senza
pretese né pregiudizi, senza alterigia né commiserazione, senza statistiche né
finzioni.
Troviamo un
campionario veramente esteso.
Anche per la
religione vale lo stesso discorso. Da chierico e da cittadino con incarichi
pubblici, oltre che borghese in attività sia per conto del padre sia per
proprio conto, da viaggiatore e studioso pieno di curiosità parlò del mondo
religioso senza nascondere nulla; frati e preti malandrini accompagnano sante
persone, e persino le suore sono coinvolte senza particolari attenzioni, tutti
religiosamente attivi ma anche interessati ai fatti propri: ne esce un quadro
estremamente variopinto che non ha senso ridurre attraverso delle forzature, e
tanto meno delle percentuali.
Tutti i temi
affrontati ed evidenziati dalla critica devono sottostare a questa osservazione.
La Fortuna
può essere bona o mala, a seconda del punto di vista, ma è un
protagonista nello svolgersi degli avvenimenti e risponde al sistema così come
il sistema risponde alla Fortuna. Essa segue percorsi imperscrutabili e è
sempre presente anche se può risultare non decisiva, perché l’essere umano non
è in grado di controllare e gestire tutti gli avvenimenti in cui si trova
immerso.
Isabetta e la
badessa cui capitò di prendere le brache dell’amante al posto del copricapo
I sogni (le
novelle di Lisabetta e di Talano)
I mariti che
tornano inaspettatamente (Frate Rinaldo e Agnesa, Giannello e Peronella.
Il naufragio
di Cimone.
La Fortuna
non è qui l’elemento di cui parlerà Machiavelli ne Il Principe, dove
cerca di individuare quale spazio abbia il libero arbitrio: in Machiavelli c’è
l’esigenza di trovare Leggi universali, in Boccaccio c’è invece l’attenzione
per tutti i particolari che gli sono davanti o di cui ha sentito parlare,
particolari che possono o non possono dipendere dal libero arbitrio degli uomini.
Anche in questo caso non si tratta di cercare un collegamento con “il
particulare” di Guicciardini, perché lo storico fiorentino si pone al servizio
della politica e cerca di fornire indicazioni utili a governare. In Boccaccio
il particolare è, semplicemente, l’evento. Ciò che esce fuori e si manifesta.
E’ un fatto, una situazione, qualcosa che si impone di per sé; non è ancora una
relazione né una struttura né tanto meno un sistema, anche se poi si
interconnette alla relazione, alla struttura e al sistema.
Parto da
queste riflessioni sulla Fortuna per arrivare all’importanza del Decamerone in
un’ottica di complessità.
Nelle pagine
precedenti ho voluto mettere in evidenza come il Decamerone abbia un valore che
gli possiamo riconoscere all’interno di una visione non semplicistica e non
riduzionistica. Ho messo in evidenza ciò che un comune lettore è in grado di
vedere da sé, il fatto che le storie raccontate siano numerose, diverse, con
differenti tagli e punti di vista. Si tratta di 100 storie oltre la storia
della peste e la storia della relazione tra sette ragazze e tre ragazzi: esse non
rappresentano tutte le storie possibili, ovviamente, ma il loro numero e la
loro diversificazione non devono essere sottovalutati, tanto che alcuni studiosi
parlano di “caleidoscopio della vita”. Purtroppo da un lato si mette in
evidenza il fatto che sarebbe sbagliato procedere a tentativi riduzionistici,
ma dall’altro si sente comunque la necessità di riconoscere nell’opera una
chiave ideologica.
Per
comprendere l’importanza che assume, a livello epistemologico e letterario, la
caratteristica del caleidoscopio, senza la necessità di trovare uno schema, una
categoria, una chiave ideologica, occorre mettere in evidenza cosa rappresenti per
il pensiero complesso il concetto di “evento” e soprattutto la
rivalutazione del concetto di “evento”
Chi ha
sviluppato questo aspetto è stato soprattutto Edgar Morin a partire dal suo Scienza
con coscienza. Vediamo alcuni passi dello studioso francese. Per una visione
più larga della problematica rinvio al mio “La storia e il pensiero
complesso” (2004, Firenze).
La
nozione di evento fu utilizzata…per designare ciò che è improbabile,
accidentale, aleatorio, singolare, concreto, storico…In altri termini questa nozione
apparentemente semplice ed elementare rinvia ad altre nozioni e le contiene: è
di fatto una nozione complessa…
La
nozione di evento è relativa.… In altri termini ancora, la natura accidentale,
aleatoria, improbabile, singolare, concreta, storica dell’evento dipende dal
sistema secondo il quale lo consideriamo. Lo stesso fenomeno è evento in un
sistema, elemento in un altro. Esempio: le morti automobilistiche del fine
settimana sono elementi prevedibili, probabili, di un sistema
statistico-demografico che obbedisce a leggi strette. Ma ognuna di quelle
morti, per i membri della famiglia della vittima, è un accidente inatteso, un
caso, una catastrofe concreta.
Gli
eventi di carattere modificativo sono quelli che risultano da incontri,
interazioni. Distruzioni, mutamenti, associazioni, simbiosi, mutazioni,
regressioni, progressi, sviluppi possono essere la conseguenza di tali eventi.
Dunque l’evento è nozione ambivalente, relativa, sempre
dipendente dal sistema di cui fa parte; questo non vuol dire che le sue
caratteristiche e i suoi processi sono necessariamente determinati dal sistema,
ma che con esso deve fare i conti. Viceversa lo stesso evento risulta, nel suo
carattere aleatorio e singolare,
componente decisiva nella trasformazione del sistema stesso.
a) L’evento ha sempre un carattere perturbatore che risulta
decisivo delle trasformazioni dei sistemi complessi che, proprio grazie ad
esso, possono riorganizzarsi creando un’unità superiore.
b) Morin sviluppa le tesi di Von Foerster, di Bateson,
infine di Atlan: tutto ciò rende possibile per la prima volta concepire una
scienza del divenire.
Nella
misura in cui le strutture non evolvono, che i sistemi non si modificano se non
sotto lo stimolo dell’evento, che il cambiamento è indissociabile da una
relazione sistema-evento, che dunque non c’è più separazione tra strutture e
sistemi da un lato e dall’altro evento (cioè rumore, improbabilità,
individualità, contingenza), allora è possibile teorizzare la storia.
c) I sistemi più complessi sono
“strutture di accoglienza”, che
risultano sempre più aperte all’evento e sempre più sensibili ad esso. La
società umana appare, all’interno di questi aspetti, come l’organizzazione più
aperta per quanto riguarda la sensibilità all’evento.
d) In questo senso più
l’organizzazione è complessa, più risulta sensibile alla singolarità
dell’evento, più aumentano i possibili, più appare decisivo l’elemento della
scelta.
e )“La teoria dell’evoluzione è
una teoria dell’improbabilità, nella misura in cui gli eventi svolgono un ruolo
indispensabile. ‘Tutti gli eventi sono improbabili’(J.Monod). L’evoluzione
fisica era già ‘una creazione successiva di ordine sempre crescente di oggetti
sempre più complessi e, per questo, più improbabili’ (J. Ullmo). ‘Per quanto un
processo statistico abbia una direzione, è un movimento verso la media – ed è
esattamente quello che non è l’evoluzione’ (J. Bronowski)”
CONCLUSIONE
Lo studio
della letteratura va fatto storicamente perché storico è lo sviluppo di ogni
società e questo sviluppo ha evidenziato continui passaggi da società più
semplici a società più complesse. Se da un lato è necessario contestualizzare
ogni opera letteraria dall’altro non dobbiamo dimenticare che il lettore siamo
noi che viviamo in un periodo storico in cui l’acquisizione del sapere non è
più lo stesso di un tempo. Nel 1300 la Scienza era data dalla filosofia e dalle
scienze umanistiche, a partire dal 1600 si è imposto un metodo che ha portato
sugli allori le scienze fisiche ridotte a Scienza con la ESSE maiuscola. Alla
fine del 1900 questa ultima visione ha perso molti dei suoi attributi e si sta
affermando una scienza non riduzionistica che chiamiamo complessa.
In questo
quadro non dobbiamo dimenticare che ognuno di noi è un microcosmo rispetto al
macrocosmo evolutivo.
Boccaccio ha
sempre avuto una fortuna notevole presso i suoi lettori tanto da rappresentare
un punto di partenza obbligato per la narrativa europea (a partire da I
racconti di Canterbury). Il Decamerone ci offre tante situazioni che
ritroviamo anche nella cinematografia contemporanea: ci piace il comico, il
thriller e tutto il resto. Oltre a questo però occorre comprendere che esiste
un punto di contatto tra le moderne acquisizioni epistemologiche della
complessità e la narrativa dello scrittore toscano.
Per questo
Boccaccio è ancora più grande.
Per questo
Boccaccio merita di essere letto e studiato, ben oltre la generica “cultura
generale”.
*Di seguito
un richiamo alle novelle citate nel testo:
giornata (n. romani), ordine novella (n.
arabi)
Andreuccio da
Perugia: II-5
Calandrino e
l’elitropia: VIII-3
Nastagio
degli Onesti: V-8
Ser
Ciappelletto: I-1
Chichibio ela
gru: VI-4
Lisabetta da Messina:
IV-5
Guglielmo
Rossiglione: IV-9
Bernabò da Genova:
II-9
Ghismunda e
Guiscardo: IV-1
Simona e Pasquino: IV-7
Figlia del Re di Tunisi e
Gerbino: IV-4
Girolamo e Salvestra: IV-8
Isabetta:
IX-2
Talano
d’Imolese: IX-7
Frate Rinaldo
e Agnesa: VII-3
Giannello e Peronella:
VII-2
Il naufragio
di Cimone: V-1
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